E’ piuttosto importante la settimana che si apre per gli affari europei: la ‘graticola’ preparata dal Parlamento europeo per verificare qualità e visioni politiche dei commissari designati è già calda. Qualche posizione è più controversa delle altre. Potrà esserci qualche incidente di percorso, ma non ci sono le condizioni per decisioni di rottura sapendo che il Parlamento valuta ogni commissario, ma vota sull’intero collegio. Ciò non toglie che nelle ultime ore si arroventino i toni, i messaggi, i sospetti tra le famiglie politiche. Tra i tanti temi controversi, da chi ‘comanderà’ effettivamente sulle politiche di bilancio al rischio dei veti incrociati tra i vari commissari e alle politiche commerciali e di concorrenza (che saranno nelle mani di commissarie liberali), si staglia il piano Juncker da 300 miliardi per gli investimenti: i no tedeschi a soluzioni “creative” avranno un effetto diretto anche sulle discussioni parlamentari.
Tra le posizioni controverse c’è innanzitutto quella del britannico Lord Hill che sarà il responsabile dei mercati finanziari. A smontare l’eventuale pressione, però, ci ha pensato subito Juncker: non si occuperà del rispetto delle norme europee sulle remunerazioni dei banchieri. La City per ora ha perso un punto, poi si vedrà. Ci sono i casi dell’ungherese Tibor Navracsics all’educazione, ‘uomo forte’ del premier Orban, dati i contrasti tra Budapest e la Ue sulla libertà di stampa e gli equilibri democratici in Ungheria; dello spagnolo Miguel Arias Caneta, responsabile di clima e ambiente per via del possesso di azioni di due compagnie petrolifere; della slovena Alenka Bratusek, che da premier si è lei stessa candidata a Bruxelles, ovviamente riuscendoci. Diritti fondamentali, potenziale conflitto di interesse, trasparenza del processo politico sono temi cui il Parlamento europeo è sensibilissimo.
Dalle prime indicazioni fatte circolare anche da ambienti parlamentari sui contatti con Jean Claude Juncker è emerso che il neopresidente della Commissione ha tutta l’intenzione di mantenere la promessa che il piano da 300 miliardi di soldi pubblici e privati (in tre anni, pari allo 0,7% del pil Ue) si configurerà come uno sforzo aggiuntivo rispetto agli stanziamenti già decisi. Si sa anche che Juncker vuole accelerare il lavoro e non andare per le lunghe. D’altra parte molti governi (Italia e Francia in primo luogo) chiedono che i capi di Stato e di Governo possano già discuterne al Consiglio europeo di dicembre. Si tratta di vedere se il nuovo piano si aggiunge ai precedenti o, nella sua dimensione finanziaria implicherà uno smistamento e un riciclo di fondi europei già messi sul tavolo. Due anni fa venne confezionato un pacchetto per mobilitare in totale 120 miliardi di euro fondato sull’aumento di capitale della banca europea degli investimenti per 10 miliardi. Ancora non ci sono effetti visibili.
La Francia è stata molto attiva negli ultimi giorni nel tentativo di smuovere le acque, sponsorizzando l’idea di usare l’European Stability Mechanism, il fondo Eurozona che finanzia i salvataggi finanziari degli Stati, per mobilitare dai 20 ai 40 miliardi di euro a fronte di una capitalizzazione di 700 miliardi di cui 80 miliardi versati. Si calcola che ogni euro pubblico investito può attrarne fino a 10 ‘privati’ (è questo l’effetto leva dell’investimento pubblico). Un tale ammontare potrebbe sostenere la ricapitalizzazione del Fondo europeo per gli investimenti, specializzato nella fornitura di capitale di rischio a beneficio di piccole e medie imprese con un azionariato tripartito: Bei al 65,2%, Unione europea attraverso la Commissione al 24,3%, istituzioni finanziarie Ue più Turchia al 10,5%. Anche l’Italia è molto attiva su questo terreno come è stato confermato nel corso delle riunioni informali dei ministri finanziari di due settimane fa, ma avendo la presidenza di turno dell’Unione evita accuratamente affondi e forzature.
La prospettiva di un coinvolgimento dell’Esm è stata subito bocciata a Berlino con il ministro Schaeuble in rotta di collisione con la Bce sugli acquisti di prestiti cartolarizzati e in rotta di collisione con la creatività sul meccanismo salva-Stati: “Gli 80 miliardi dell’Esm non sono a disposizione di tutte le possibili idee creative, servono per assicurare la stabilità dell’euro e mantenere la fiducia dei mercati finanziari”. Fuori discussione toccarne lo statuto.
E’ chiaro che il motore finanziario del piano sarà la Banca europea degli investimenti. Berlino e Parigi sono d’accordo a studiare la possibilità di conferire alla Bei un mandato per gestire un fondo rifornito dagli Stati per finanziare progetti infrastrutturali che potrebbe essere garantito in parte del bilancio Ue. E’ un’idea sulla quale si sta lavorando da qualche tempo: chi lo chiama Fondo per la crescita, chi addirittura preconizza un Eurosistema di banche di investimento fondato sulla cooperazione tra Bei e le banche di sviluppo nazionali (in Italia la Cassa Depositi e Prestiti, in Francia la Caisse des Dépots et Consignations, in Germania la Kreditanstalt für Wiederaufbau, in Spagna l’Instituto de Crédito Oficial). Il centro di ricerca parigino Cepii già a luglio aveva elaborato la proposta di un Eurosistema federale di banche pubbliche di investimento da inserire nel Trattato Ue. Prevedendo anche una specifica condizionalità: il chiaro impegno degli Stati aderenti ad attuare riforme strutturali e politiche economiche favorevoli alla crescita.
Tutto ciò mentre da Lussemburgo il direttore della Bei Werner Hoyer, ex ministro tedesco degli affari europei, invitava a raffreddare le “aspettative un po’ sovrabbondanti” su ciò che la banca può fare per rilanciare la crescita. La ragione di tale uscita è semplice: la Bei vuole mantenere il ‘rating’ di credito tripla A, di conseguenza non può diventare la bacchetta magica dell’operazione. O quantomeno l’unica bacchetta magica. E’ un fatto comunque che la Bei sta agendo al limite dei suoi limiti finanziari tanto che tra le opzioni sul tavolo dei ministri Eurozona c’è anche l’ipotesi di un nuovo aumento di capitale. Una prospettiva sulla quale sembra ci sia per il momento abbastanza freddezza.