Può darsi che alla fine i capi di Stato e di Governo europei trovino nella notte un accordo almeno sul nome dell’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza. A poche ore dall’inizio della riunione, spostata in là di un paio d’ore (alle 20), i pronostici indicano che questo potrebbe essere il risultato massimo. Diverse fonti diplomatiche si dichiarano certe che ci sarà bisogno di un altro vertice a fine mese per concordare le altre due posizioni aperte il sostituto di Van Rompuy alla presidenza dell’Unione europea e il presidente dell’Eurogruppo. Non è una novità un braccio di ferro sui posti di rilievo nelle istituzioni europee: casomai la novità è il profilarsi di blocchi orizzontali non solo verticali Nord-Sud: sono tanti paesi dell’Est contrari a Federica Mogherini “ministra’ degli esteri con gli argomenti dell’inesperienza e delle posizioni troppo filo-russe. La candidatura avanzata da Matteo Renzi appare tutta in salita. Si intrecciano i negoziati sui portafogli dei commissari: la candidatura di Pierre Moscovici agli affari economici viene bersagliata in patria (dall’opposizione) e temuta a Berlino (il malato d’Europa vigila sugli altri?). Su tutti pesa l’incertezza del vaglio parlamentare (tranne che per chi sostituirà Van Rompuy): in una Europa sempre più politicizzata, si tratta di una variabile dipendente.
Sulla candidatura dell’attuale responsabile della Farnesina il premier Renzi non intende mollare: questo è quanto emerge ufficialmente mentre anche sulla stampa di mezza Europa si continua a parlare dello ‘sbarramento’ del governo italiano alla soluzione Enrico Letta come presidente dell’Unione europea (lo stesso paese non può ‘coprire’ entrambe le cariche). A Bruxelles molti osservatori e diplomatici pensano che una candidatura Letta passerebbe liscissima. Il fronte anti-Mogherini è ampio: Polonia, Bulgaria, i paesi baltici. Sulla stessa linea con qualche prudenza ci sarebbero Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Romania, Repubblica Ceca. Una decina di paesi, quindi. E’ un fronte che potrebbe non dimostrarsi poi così saldo, salvo che emergono due problemi: il primo è che a dieci anni dal ‘grande allargamento’ a questo giro va dato qualcosa a un campione dell’Est, il secondo è che Jean Claude Juncker ha disegnato un profilo del ‘ministro’ degli esteri Ue diverso da quello di Mogherini (all’Europarlamento ha indicato che deve trattarsi di una persona con esperienza e Juncker non è certo uno che parla a caso). Lo stesso Juncker ha messo molta enfasi, parlando di portafogli della futura Commissione, sul commissario per l’immigrazione. Non si sa se pensa possa essere italiano. Forse per l’Italia non sarebbe una posizione comodissima: è più difficile per un commissario italiano convincere tutti gli altri commissari e i governi a condividere il peso della gestione dei flussi migratori che in questa fase pesano enormemente proprio sull’Italia. Sulla stampa italiana viene rilanciata l’ipotesi Massimo D’Alema: sarebbe la carta di riserva di Renzi. Due problemi. Il primo è che l’idea che va per la maggiore vuole una donna al posto di Lady Ashton. Il secondo è di carattere interno tutto italiano: può il ‘rottamatore’ Renzi ricorrere al ‘rottamato’ D’Alema senza smentire se stesso?
Della ministra degli esteri italiani si parla a proposito delle sue posizioni considerate filorusse tenute nella crisi ucraina: che si tratti delle stesse posizioni espresse dalla Germania e dalla Francia sembra non interessare molto. Per i motivi opposti però non avrebbe storia la candidatura di Radoslaw Sikorski per le sue posizioni anti-russe. Di qui l’emergere dell’opzione Kristalina Georgieva, bulgara, attuale commissaria agli aiuti umanitari, ex vicepresidente della Banca Mondiale. Juncker la preferirebbe. Per il posto di presidente dell’Unione europea, va ancora per la maggiore la socialista danese Helle-Torning Schmidt (che ha pure buoni legami con David Cameron il che non guasta di questi tempi). L’accordo tra i grandi partiti è che alla Ue vada un/una socialista. C’è il problema che la Danimarca non fa parte dell’Eurozona: se fosse lei l’erede di Van Rompuy i leader dell’Eurozona dovranno nominare un presidente dell’Eurosummit. Nella necessità di trovare il punto di equilibrio tra interessi politici dei grandi partiti, interessi nazionali e di area, il quadro europeo si complicherebbe ancora di più. In lizza comunque ci sono anche il premier olandese Mark Rutte, il polacco Donald Tusk, l’ex premier estone Andrus Ansip (l’unico liberale del gruppo), l’irlandese Enda Kenny.
Il posto di presidente dell’Eurogruppo non richiederebbe una decisione immediata dato che l’olandese Jeroen Dijsselbloem scade tra un anno. Come d’altra parte quello di presidente della Ue: il mandato di Van Rompuy scade a fine ottobre. E’ la logica che spinge nella direzione di un pacchetto, ma l’accordo sull’intero pacchetto non appare davvero maturo. Il posto all’Eurogruppo è ‘prenotato’ dalla Spagna con Luis de Guindos, per quel che valgono i posizionamenti prima delle riunioni decisive come quella di stasera. In ogni caso, i governi non sono ancora in grado di decidere se si passerà e quando a un presidente dell’Eurogruppo a tempo pieno: non c’è molto appetito a un ulteriore spostamento di sovranità al ‘centro’.
Dijsselbloem finora ha fatto finta di nulla rispetto alle critiche alla sua presidenza, ma nutre molto interesse per il posto che fu di Olli Rehn e ora sarà per quattro mesi del ‘falco’ Jyrki Katainen, ex premier finlandese. Katainen è del partito popolare, Dijsselbloem laburista. Sugli affari economici si gioca una partita di grande rilevanza: di lì passerà la nuova pratica della flessibilità sulle regole di bilancio. La pressione della Francia per mandarci l’ex ministro delle finanze Pierre Moscovici (socialista) è fortissima. L’asse con l’Italia sulle politiche di bilancio potrebbe rafforzarsi notevolmente. Sarebbe il bilanciamento della soluzione Juncker, popolare, alla testa della Commissione. Lo stesso Juncker sarebbe favorevole, ma è una soluzione che preoccupa innanzitutto la Germania. Il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaeuble è in allarme: si considera che la Francia non è credibile in materia di finanza pubblica perché non rispetta da tempo gli impegni di riduzione del deficit (nonostante goda della flessibilità delle regole di bilancio avendo ottenuto due anni di tempo in più per portare il disavanzo sotto il 3% del pil). E ciò non per colpa (esclusiva) del ciclo economico. Ce n’è quanto basta per complicare una situazione già abbondantemente complicata.