Sono tante le storielle sugli economisti che prevedono scenari più o meno foschi. Una fra le tante è questa: l’economista è colui che oggi spiega perché le previsioni che ha elaborato ieri non si sono verificate. Sorridiamo, purché nei limiti ammessi dalla scienza triste. In tempi come gli attuali, pieni zeppi di quelle variabili impazzite che per definizione, appunto, fanno impazzire tutto e tutti, vanno di moda gli aggiornamenti, ultimo quello del Fondo monetario internazionale che ha corretto le stime macroeconomiche di metà aprile due mesi e mezzo dopo. La rielaborazione di stime solo tiepide è l’unico antidoto all’incertezza prolungata. La sola cosa da fare è badare alla direzione, al senso di marcia riflesso nei numeri piuttosto che al singolo decimale. Per esempio, nel caso delle ultime previsioni del Fondo monetario ciò che ci interessa sono tre aspetti: la conferma che l’uscita dalla recessione è cominciata su scala globale, l’indicazione che gli Usa ne usciranno prima e l’Eurozona (e l’Europa del suo complesso) dopo tutte le altre aree, grossomodo a partire dalla metà del 2010.
Il solo paese in cui viene contestata la credibilità delle previsioni (non particolarmente ottimistiche) e/o viene contestato il modo in cui vengono enfatizzati dai mezzi di informazione è l’Italia, almeno fino a questo momento. Non fidiamoci delle previsioni perché "siamo in terra incognita, tutti i previsori hanno sbagliato ieri perché dovrebbero non sbagliare anche oggi?", continua a ricordare il ministro Tremonti. Anche la Banca d’Italia, criticata dal governo proprio a proposito di previsioni della crescita italiana considerate pessimistiche, riconosce che c’è un problema ma ne delimita il perimetro: "In presenza di sviluppi eccezionali, tali da costituire un momento di discontinuità con il passato, viene a mancare la regolarità statistica di riferimento", ha spiegato qualche tempo fa il vicedirettore Ignazio Visco.
Quello che è certo è che in Europa non è all’ordine del giorno un processo alle previsioni. Tutt’altro, si cerca addirittura di accelerarle. Per esempio è allo studio il progetto di diffondere entro il 2012 le stime rapide di crescita del pil nell’Eurozona con 15 giorni di anticipo, ossia 30 giorni dopo dalla fine del trimestre di riferimento e non più 45 giorni dopo. Obiettivo della riforma migliorare i punti di riferimento delle politiche economiche e allinearsi ai calendari internazionali che contano, tra cui la stima anticipata del pil Usa (che viene pubblicata trenta giorni dopo la fine del trimestre). Chi lo ha deciso? L’Ecofin nove mesi fa. A quanto risulta all’unanimità. Recentemente la Bce ha analizzato l’affidabilità delle stime preliminari Eurostat concludendo che "la maggiore tempestività non implica necessariamente una minore affidabilità" dato che la descrizione degli andamenti economici riflessa nella stima rapida non presenta differenze significative rispetto alla prima stima completa pubblicata due settimane più tardi. Più modeste e meno volatili le revisioni relative a consumi privati e collettivi, più difficili da misurare gli investimenti fissi e l’interscambio con l’estero.
Negli ultimi 33 trimestri, scrive Eurostat, la stima rapida del pil nell’eurozona ha subito una revisione media di meno dello 0,01% se comparata con i dati successivi. Ha anticipato correttamente l’accelerazione o la decelerazione della crescita 28 volte, il valore della crescita 28 volte e la stima è risultata divergente di più o meno 0,1% cinque volte.
Se si passa all’inflazione, le stime ‘flash’ mostrano che negli ultimi due anni l’anticipazione del tasso annuale è stata centrata 18 volte, per 6 volte era diversa dello 0,1%.
Per sapere a chi dare retta, secondo un’analisi condotta dalla Commissione europea sugli anni 1969-2005 è accertato che prima della corsa agli aggiornamenti trimestrali il Fondo monetario sbagliava di più specialmente sulla stima di crescita dell’anno successivo perché partiva prima. La Commissione Ue è in seconda posizione (ma è nota l’accuratezza nel delineare la direzione di marcia dell’economia). L’Ocse è più precisa (specie per quanto concerne l’anno in corso) perché le sue stime incorporano dati nuovi uscendo un mese dopo quelle di Bruxelles. Le variabili più ostiche da prevedere non sono comunque quelle interne, ma quelle esterne: fino al 60% dell’errore di previsione per pil e inflazione nella Ue può essere spiegato dal valore (sbagliato) delle variabili internazionali correlate: pil globale, commercio, materie prime.Scarica BCE/Scarica RAPPORTO UE