Germania, Francia, Italia, e anche gli altri paesi, via via si compone il puzzle dei prestiti. Paradossalmente potrebbe essere il Fondo monetario internazionale uno degli ultimi ‘attori’ a decidere il via libera agli aiuti finanziari alla Grecia, ma non é questo che sta in cima alle preoccupazioni politiche: ormai il meccanismo dei prestiti é avviato, i parlamenti nazionali hanno deciso o stanno decidendo così i capi di stato e di governo dell’unione monetaria non hanno nulla di nuovo da aggiungere al dettaglio. La preoccupazione numero uno riguarda se e quando i mercati daranno tregua, se e quando sarà allentata la morsa per vedere se dopo la Grecia cadranno altri paesi dell’unione monetaria. Perché di una cosa si é sicuri: l’Eurozona può evitare che la Grecia faccia la fine del primo dei piccoli dieci indiani del celebre romanzo di Agatha Christie, ma se gli indiani fossero più di uno non potrebbe fare un bel nulla.
Il problema é che da giorni gli appelli ad analisi più ragionate, più serie, a valutazioni che tengano conto di tutti gli elementi della situazione greca e dell’Eurozona, sono tutti caduti drammaticamente nel vuoto. Più è elevato il pulpito dal quale sono arrivati (da molti primi ministri e dai banchieri centrali in giù) meno hanno fatto presa sugli investitori. I (ragionevoli) richiami alla razionalità sono stati gocce d’olio su un piano inclinato. Ciò dimostra che si è ormai aperta una partita che ha come trofeo la stabilità dell’unione monetaria, prima finanziaria ed economica e subito dopo politica. Che ci sia speculazione è fuor di dubbio, ma come tante volte è accaduto, la speculazione si inserisce là dove ci sono dei varchi politici, economico-finanziari, legali (basti pensare alle incursioni di Soros contro la sterlina nel 1992 e all’attacco alla lira che fu costretta a uscire dallo Sme subito dopo).
Ecco il punto dolente. Non solo adesso è (a tutti) chiaro che l’unione monetaria europea non può reggere con la sola gamba monetaria (il potere della Bce), ma è anche evidente che dovrà essere completamente rovesciato il paradigma di Maastricht. Nel 1991-92, con l’affondo della moneta unica, venne rilanciata l’integrazione europea dopo l’unificazione tedesca, la decisione di creare l’euro costituì la condizione politica necessaria per l’organizzazione dell’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. In piena sintonia peraltro con le condizioni del mercato unico e la sempre più rapida integrazione dei mercati finanziari. In sostanza, si può sintetizzare, l’economia ‘salvò’ in qualche modo la politica. Oggi i ruoli tra economia e politica si sono invertiti: è la seconda che deve salvare (questa volta quasi letteralmente) la prima. Fino a quando questo salvataggio non sarà effettuato sarà molto facile far scattare la trappola dei piccoli indiani.
Il problema numero uno è non far saltare la Grecia. Il problema numero due viene subito dopo, anzi, ha la stessa importanza del primo: l’Eurozona deve avere una gamba politica. Deve coordinare e decidere in quanto tale. Due esempi semplicissimi: la legge finanziaria nazionale va prima discussa e confrontata a Bruxelles, poi va discussa e approvata nei parlamento nazionali; Eurostat deve avere il potere di verifica dei conti di ogni paese. Che si tratti di aspetti nevralgici della sovranità nazionale è indubbio, ma ciò non rende questa prospettiva meno necessaria. L’attuale ‘governance’ europea fa acqua da tutte le parti, sostanzialmente non c’è o quasi (a parte le rampogne sui deficit pubblici quando è troppo tardi), basti pensare che sono stati necessari tre mesi per mettersi d’accordo sugli aiuti alla Grecia entrata in crisi tre mesi prima, con gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti. Ora sembra che la crisi greca e soprattutto il braccio di ferro in corso tra governi/banche centrali e mercati finanziari stia accelerando un processo di unificazione delle politiche economiche quantomeno nell’Eurozona: non sappiamo ancora come, con quale quadro legale, nascerà la seconda gamba dell’unione monetaria, ma è certo che nascerà. Quantomeno nascerà qualcosa di simile.
Di certo le tensioni di questi giorni hanno fatto fare alla cancelliera tedesca Angel Merkel un passo importante (a parte il via libera ai prestiti): Berlino ha riconosciuto per la prima volta ufficialmente che non va soltanto rafforzata la sorveglianza sui bilanci pubblici (e questo lo vuole da tempo), ma che tale sorveglianza sovranazionale va allargata "alle questioni strutturali e di competitività e agli squilibri" economici dell’area. Fino a ieri, ciò veniva negato, veniva considerato un pericoloso grimaldello per ‘processare’ la Germania che, realizzando enormi surplus esterni, tarpa le ali alla domanda interna dell’Eurozona. Inoltre Berlino sembra aver riposto l’ascia dell’esclusione dei paesi lassisti dalla zona euro. Mercoledì 12 maggio la Commissione europea presenterà le proposte per stringere le procedure di vigilanza sui bilanci pubblici, avere sanzioni più certe ai paesi che persistono a non rispettare gli impegni di consolidamento sia sul deficit che sul debito (fino alla sospensione dei fondi Ue), un meccanismo di prevenzione e soluzione delle crisi finanziarie che colpiscono gli stati membri. La sintonia con quanto indicato dalla coppia di ferro Sarkozy-Merkel sembra totale. L’Italia ci sta, così Belgio, Austria, Lussemburgo. I paesi del fronte più caldo, Spagna, Portogallo e Grecia oggi non chiedono altro. A parole. Importante è fare presto.