Auto elettriche, la Ue gioca la carta del doppio binario, dazi anti Cina e negoziato con Pechino

La fase finale della partita a poker è aperta e l’Unione europea ha giocato una carta di valore nonostante il no della Germania e di altri quattro governi (alcuni satelliti produttivi dell’industria dell’auto federale come Ungheria e Slovacchia): ancora non sono noti i contenuti, ma entro il 30 ottobre la Commissione Ue pubblicherà sulla Gazzetta ufficiale l’ultimo atto per la conferma dei dazi sulle auto elettriche cinesi importate. Quindi ci sono tre settimane e mezzo per trovare un accordo che li eviti e il primo appuntamento è già noto: lunedì ci sarà un incontro a livello tecnico fissato prima del voto del comitato Ue di difesa commerciale stamattina. Scontate le reazioni a quanto avvenuto: Pechino accusa la Ue di “protezionismo irragionevole”; Berlino fa un appello per evitare una guerra commerciale, le case automobilistiche tedesche parlano di “segnale fatale” per il settore europeo e di “approccio sbagliato”; gli europei favorevoli e astenuti giurano di non voler alimentare una guerra commerciale con la Cina. Infine, la Commissione europea spiega la sua tattica a doppio binario: camminerà la procedura per i dazi e nello stesso tempo si intensificherà il negoziato. Un alto funzionario coinvolto nelle discussioni indica che un accordo è ancora possibile.

 Nella nota ufficiale di Bruxelles si dice che la proposta della Commissione europea di imporre dazi compensativi definitivi sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina “ha ottenuto il supporto necessario dagli Stati membri per l’adozione delle tariffe. Ciò rappresenta un altro passo verso la conclusione dell’indagine anti-sovvenzioni”. L’esito politico interno alla Ue è lì netto e non era scontato: il fatto che il paese più grande produttore auto del continente sia contrario alla decisione evidenzia un enorme problema (i produttori tedeschi realizzano in Cina e con la Cina quote assai rilevanti di profitto). In ogni caso, la decisione dei dazi è l’arma per convincere Pechino che trovare un accordo è interesse anche cinese.

 La votazione degli Stati sulla proposta di conferma dei dazi anti Cina ha dato in un certo senso pari e patta: 10 governi a favore, 5 contrari, 12 astenuti. Pari e patta perché non c’è stata una maggioranza qualificata né a favore né contro il regolamento comunitario, di conseguenza Bruxelles può procedere e metterlo in atto. Siccome la procedura va chiusa entro il 30 ottobre, il tempo per negoziare – con i dazi europei sul tavolo pronti a scattare successivamente – c’è. Dalle ricostruzioni emerge che Germania, Ungheria (no motivato anche politicamente dal premier Orban che parla di “guerra fredda” contro Pechino), Slovacchia Slovenia e Malta hanno votato contro. A favore Francia, Italia, Polonia, Olanda, Bulgaria, Danimarca, Irlanda, i tre Paesi baltici. Astenuti gli altri.

 I dazi definitivi calcolati dalla Commissione europea sono per Byd (significativo il nome, Build your dreams cioè costruisci i tuoi sogni) 17%, in calo al 18,8% per Geely (secondo gruppo cinese, azionista di maggioranza di Volvo) e al 35,3% per Saic (terzo gruppo, ha joint venture con Volkswagen e GM). Calo anche per Tesla al 7,8% nei confronti della quale c’è stato un calcolo individuale. I produttori che hanno collaborato all’inchiesta europea saranno colpiti da un dazio del 20,7% (leggero calo rispetto al conto originario), per quelli che non hanno collaborato il dazio sarà del 35,3% (leggero calo). L’entità delle tariffe, previste per cinque anni, si aggiunge al dazio del 10% esistente.  

Se Unione europea (è la Commissione che negozia gli accordi commerciali rappresentando gli Stati membri) e Cina dovessero trovare un accordo che risolve la distorsione del mercato concorrenziale a causa dei sussidi alla produzione cinese, Bruxelles dovrà sottoporre il regolamento relativo agli Stati membri.

 Anche da parte dei Paesi che hanno votato a favore viene levata la voce per evitare una guerra commerciale. Tra gli altri è intervenuto il ministro dell’industria Adolfo Urso secondo il quale “occorre preservare la partnership industriale e commerciale con la Cina con cui vogliamo continuare a lavorare in una logica win-win basata sul principio della reciprocità anche ai fini della stabilità economica globale». Il ministro del commercio svedese B(enjamin Dousa indica di aver ricevuto segnali da Bruxelles che si potrà procedere con soluzioni individuali caso per caso (la Svezia si è astenuta). A dimostrazione che vuole dare senso e peso al “doppio binario”, la Commissione europea spiega che i singoli produttori cinesi possono presentare impegni sui prezzi delle auto elettriche esportate nella Ue anche dopo il 30 ottobre e che se venissero accettate i dazi non sarebbero riscossi.

 Il “doppio binario” è coerente con il doppio interesse europeo: da un lato difendersi dalla concorrenza sleale, dall’altro non rinunciare sia al mercato cinese come luogo di produzione (il caso tedesco) che ai capitali cinesi. Più le auto elettriche cinesi sono “tassate” in Europa più hanno interesse le case che le producono a realizzarle in Europa per aggirare i dazi e per questo vengono abbondantemente corteggiate da diversi governi Ue, compreso quello italiano.

A mo’ di spiegazione del contradditorio interesse europeo difficile da tradurre in un equilibrio, un’analisi del Financial Times ricorda utilmente la differenza nell’approccio tra Ue e Stati Uniti, che hanno appena deciso dazi oltre il 100% sulle auto elettriche cinesi: mentre l’industria europea evidenzia integrazioni (volente o nolente) con quella cinese, gli Stati Uniti procedono nel “decoupling”, il disaccoppiamento. Poi c’è il rischio di ritorsioni commerciali da parte cinese. Un caso fra tutti: alla notizia del voto Ue stamattina, l’associazione interprofessionale del cognac francese ha indicato di considerarsi “sacrificata”. A gennaio la Cina ha aperto un’indagine sui brandy europei e a fine di agosto ha annunciato di aver trovato prove di dumping. Dall’altra altra parte, la Cina ha tutto l’interesse a non “rompere” con la Ue dato che il mercato continentale è il secondo dopo quello interno e attualmente è alle prese con un’enorme sovrapproduzione.