Tempi lunghi, dialogo: è chiaro che il governo italiano punta a depotenziare la procedura per violazione della regola di riduzione del debito, che a Bruxelles danno tutti per scontata. Ma in questa fase le regole non permettono molto spazio per temporeggiare. L’attenzione adesso è tutta sull’incontro tra il premier Conte e il presidente della Commissione Juncker, domani sera, tuttavia non ne sono chiare le premesse: come è accaduto finora, per avere un vero dialogo allo scopo di evitare la procedura è necessario che l’Italia decida di modificare i saldi di bilancio per il 2019. Questa è stata finora la ‘linea rossa’ che la Commissione ha indicato non poter valicare, in ciò sostenuta da tutti gli altri Stati membri. E non ci sono segnali che il governo cambierà posizione sui saldi. Altra cosa è il confronto sulle modalità in cui si articolerà la procedura, che dovrebbe essere avviata con decisione dei ministri finanziari il 22 gennaio. I tempi lunghi però non riguardano l’avvio della procedura: l’Ecofin deve decidere in merito all’esistenza di un disavanzo eccessivo entro 4 mesi dal primo ottobre (cioè entro il 1° febbraio 2019) e contemporaneamente dovrà rivolgere all’Italia le raccomandazioni per correggere la situazione. Entro 6 mesi il governo dovrà dimostrare di aver preso le misure necessarie, ma il termine può essere ridotto a 3 mesi “se la gravità delle circostanze lo giustifica”, indica il regolamento Ue. La differenza non è da poco: nel primo caso il termine scade dopo il voto europeo (luglio), nel secondo scade prima (aprile). Resta il fatto che l’Italia si troverebbe sempre sotto la stretta sorveglianza europea.
L’obbligo per i ministri finanziari di decidere sul caso Italia entro il primo febbraio deriva dal regolamento Ue per l’accelerazione delle procedure per i disavanzi eccessivi che indica come riferimento l’ultima volte in cui gli Stati hanno comunicato a Eurostat i dati su deficit e debito (avviene due volte l’anno, il primo aprile e il primo ottobre). “Il Consiglio decide, di norma, in merito all’esistenza di un disavanzo eccessivo entro quattro mesi dalle date stabilite per la comunicazione dei dati”, è scritto nel regolamento.
Chiedere all’Italia di agire entro tre mesi o entro sei mesi fa una bella differenza in relazione alla campagna elettorale per le europee. Tuttavia, non va dimenticato, che il percorso lungo il quale l’Italia dovrebbe avviarsi sarà già noto dal 22 gennaio. Tutto fa pensare che Bruxelles procederà con molta cautela (in assenza di nuove tensioni sui mercati) anche se la valutazione sulla gravità della situazione italiana è già stata resa esplicita nell’opinione definitiva sul progetto di ‘finanziaria’ 2019 e nel rapporto sul debito.
La raccomandazione Ue dovrà contenere indicazioni sugli obiettivi di bilancio in termini nominali e strutturali sulla base delle stime europee e non delle stime italiane. Dovrà quantificare le misure necessarie per conseguire quegli obiettivi in termini di ammontare totale delle misure. Oltre ai tempi della correzione dei conti pubblici. Nel caso del deficit l’esercizio è abbastanza semplice, nel caso della riduzione del debito no perché per portarlo in un percorso di avvicinamento al 60% del pil (da quota 131%) a “un ritmo soddisfacente” occorreranno parecchi anni. La Commissione lavorerà per definire quale dovrebbe essere il percorso necessario affinchè il debito cominci a ridursi, appunto, al “ritmo soddisfacente”: è un terreno per il quale occorre tenere in considerazione molti fattori, in cui si può indubbiamente esercitare parecchia discrezionalità nella valutazione. C’è spazio per un negoziato tecnico-politico con l’Italia.
Le misure correttive richieste saranno annuali e non daranno risultati immediatamente, per cui Bruxelles monitorerà la situazione periodicamente. In questo consiste il controllo costante da parte della Commissione sull’azione di finanza pubblica di uno Stato sotto procedura. Di fatto è un mezzo commissariamento della politica di bilancio. E’ evidente che se la situazione migliora o peggiora, la Commissione ne terrà conto in tempi utili per adeguare le raccomandazioni. E’ in questa fase che i tempi possono allungarsi, non prima. Però a patto che ci sia un accordo sul percorso da seguire e lo Stato in questione non segue la linea del muro contro muro, che porterebbe a termine alle sanzioni.
Dunque, l’Italia sotto procedura entro 6 mesi o 3 mesi dal 22 gennaio a seconda della scelta iniziale, dovrà presentare un rapporto a Consiglio e Commissione sul modo in cui ha dato seguito alla raccomandazione per correggere la situazione. Rapporto che dovrà essere dettagliato e, indica il regolamento Ue, “comprendere gli obiettivi stabiliti per le spese e le entrate pubbliche e per le misure discrezionali sul lato delle spese e delle entrate coerenti con la raccomandazione del Consiglio, insieme a informazioni sulle misure adottate e su quelle previste per raggiungere tali obiettivi”.
Stando agli annunci da parte italiana, il premier Conte domani sera dovrebbe approfondire quanto il ministro Tria aveva tentato di spiegare ai colleghi dell’Eurogruppo nelle scorse settimane, senza successo. Obiettivo: convincere Juncker della bontà di una manovra che promette di ridurre il debito grazie alla maggiore crescita. Rispetto alle settimane scorse non sembrano esserci novità su questo. Se non ci saranno avvicinamenti da parte del governo sui saldi, cioè correggendo al ribasso l’obiettivo di deficit/pil nominale nel 2019 da quota 2,4%, non appaiono esserci le condizioni per una risposta positiva (a meno che nelle ultime ore la Commissioni faccia un’assai improbabile clamorosa retromarcia). Né è possibile per Bruxelles far finta che il 2,4% scritto nel bilancio corrisponda in realtà a un livello inferiore per ovvie ragioni legali oltrechè di logica: i documenti di bilancio sarebbero privi di valore e sarebbe come inviare agli altri Stati il segnale “tana, liberi tutti”.
Così come non viene preso in considerazione il fatto che la procedura sul debito chiamerebbe in causa le responsabilità del governo precedente perché si riferisce al 2017, come ha indicato il vicepremier Di Maio: gli impegni dei governi nella Ue vengono presi a nome dello Stato e comunque è il governo attuale che non rispetta la condizione alla base del via libera all’Italia dato nel maggio scorso: proseguire il consolidamento negli anni successivi.
Il premier Conte sulla procedura chiederà a Juncker “tempi di attuazione molto distesi”. Fin dall’inizio la Commissione ha parlato di un percorso “passo dopo passo, lentamente ma sistematicamente”. Ecco il punto di incontro probabile tra Ue e Roma, ma sempre sotto procedura. Interessante un’affermazione del vicepremier Di Maio in un’intervista: “È normale che in questi giorni, in attesa della decisione europea, ci fosse grande preoccupazione sui mercati. Adesso c’è un punto di partenza chiaro, la procedura è avviata, lo spread comincia a scendere”. Quindi le tensioni scenderebbero proprio grazie alla procedura Ue in seguito alla bocciatura della legge finanziaria. Fino a ieri si accusava la Commissione di eccitare il nervosismo dei mercati ai danni dell’Italia.