Non ci sono ulteriori indicazioni da parte della Commissione europea sul caso Italia dopo la lettera della coppia Dombrovskis-Moscovici al ministro Padoan: ora la ‘palla’ è nelle mani del Tesoro che dovrà valutare approfonditamente la coerenza tra gli obiettivi del governo per il bilancio 2018 e il percorso, molto stretto anche per l’esecutivo Ue, ma che è possibile perseguire nel consenso. Dal riferimento alla riduzione della spesa pubblica, che appare al primo posto dei messaggi della breve lettera comunitaria, si capisce che questo per Bruxelles è uno degli elementi portanti del ‘ragionamento’ di cui parla Moscovici. Si dice, infatti, che l’enfasi va spostata sul parametro di riferimento della spesa, che significa, è scritto nella lettera “che il governo deve assicurare un miglioramento adeguato della spesa netta primaria sulla base delle previsioni macroeconomiche della Commissione Ue dell’autunno 2017”.
L’enfasi al parametro della spesa pubblica è la novità tecnico-politica della lettera dei due esponenti comunitari. Un indicatore sul quale l’Eurogruppo già un anno fa aveva deciso di fare affidamento da affiancare alla ‘matrice’ costruita sulla misura della differenza tra crescita potenziale e crescita effettiva (output gap) vieppiù contestata dall’Italia e da altri paesi perché non effettivamente misurabile, soggetta a revisioni sostanziali ex post e penalizzanti oltremisura per alcuni paesi (tra cui appunto l’Italia). Il parametro della spesa pone un limite alla crescita annuale della spesa pubblica secondo un tasso medio di crescita. Per gli Stati che non sono vicino al pareggio (obiettivo di medio termine) il tasso di aumento della spesa deve essere sotto quel tasso di riferimento per “assicurare un progresso adeguato”, indicano le regole del cosiddetto ‘six pack’. La ratio del parametro è questa: in tal modo si assicurerebbe che i programmi di spesa sono finanziati adeguatamente da entrate permanenti equivalenti.
Nel rapporto sull’Italia dello scorso maggio, con cui Bruxelles dava il via libera definitivo alla legge di bilancio 2017 dopo la manovra correttiva di 3,4 miliardi per evitare la violazione della regola di riduzione del debito, veniva indicato che per il 2018, “alla luce della situazione di bilancio e in particolare dell’alto debito, l’Italia è attesa proseguire l’aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine in termini strutturali”.
Secondo la ‘matrice’ concordata tra i governi, l’aggiustamento consiste in un requisito di tasso di riduzione nominale della spesa pubblica primaria (al netto degli interessi sul debito) di almeno lo 0,2% nel 2018, che corrisponde a un aggiustamento complessivo annuale di 0,6% del pil. Nell’ultimo programma di stabilità l’Italia prevede un aggiustamento dello 0,8% del pil, che però sarà ridotto allo 0,3% e questo aveva ‘notificato’ con la lettera Padoan all’inizio di giugno. Secondo le stime di Bruxelles, però, il bilancio strutturale peggiorerebbe “ulteriormente” dello 0,3% e così il deficit arriverebbe a 2,2% del pil, più alto del ‘parametro di riferimento’ di 1,3% (se l’Italia fosse in regola con il patto di stabilità). Tale differenza è dovuta al fatto che la Commissione non include l’aumento dell’Iva perché l’Italia ha dichiarato che sarà sostituita.
Queste cifre vanno prese con le molle, dal momento che un conto è il piano ‘matematico’ un altro conto il ‘piano’ della valutazione qualitativa, che terrà conto di fattori diversi: stato dell’economia e della sua persistente debolezza, condizioni di vulnerabilità e sostenibilità nel breve e nel medio periodo, prospettive di riduzione del debito.
Tanto per dare un’idea, in termini matematici, la deviazione del tasso di crescita della spesa pubblica rispetto al parametro di riferimento teorico era stato indicato due mesi fa all’1%. La questione centrale per la Commissione europea è vedere quale sarà il tasso di crescita della spesa primaria nominale in Italia coerente con l’aggiustamento strutturale del bilancio nella misura dello 0,3% indicata dal ministro Padoan.