C’è molta debolezza nella scelta di Jean Claude Juncker di non presentare una proposta secca, articolata e precisa per far uscire la Ue dalla lunga paralisi politico-istituzionale e dalla crisi apertasi con Brexit, però c’è anche un po’ di perfidia. Presentando cinque opzioni possibili, con una gradazione che va dal minimalismo (lasciare le cose come stanno e sperare in qualche miracolo) alla soluzione federalista integrale che appare totalmente contro tendenza (tutti e 27 insieme condividendo il più possibile, tutto o quasi a sovranità condivisa), rinvia la ‘palla’ agli Stati membri obbligandoli a uscire allo scoperto. Ad assumersi le proprie responsabilità, ha detto agli europarlamentari oggi pomeriggio. Uscendo “dall’ambiguità”, smettendo di fare il tiro al piccione: scaricando cioè tutte le colpe sempre su Bruxelles. In qualche modo ha messo i suoi ‘azionisti’ in una situazione scomoda. I conti, però, non si faranno subito, se mai si faranno: quest’anno nulla sarà deciso perché la Ue resta appesa al voto in Olanda, Francia e Germania (e forse anche Italia) e ai negoziati per Brexit.
Nelle trenta cartelle patinate che costituiscono il ‘libro bianco’ non ci sono indicazioni precise sulle opzioni, c’è solo qualche idea per assicurare una discussione “ordinata”. In sostanza, si tratta di definire la direzione di marcia.
Se si lascia tutto com’è adesso, probabilmente la Ue vivacchierà ma andrà alla deriva. Se si sceglie l’opzione che fu tanto cara ai britannici, concentrando la Ue solo sul funzionamento del mercato unico si ridurrà la visione comunitaria e ci saranno pochi strumenti per fronteggiare le crisi che accomunano molti paesi (immigrazione e sicurezza). Se si scelgono le velocità multiple, l’Europa a ‘geometrie variabili’, la stretta cooperazione tra gruppi di ‘avanguardie’ più o meno nutrite (come è per l’unione monetaria) potrà dare una spinta almeno agli eurodiffidenti e fare la differenza nelle relazioni internazionali. Se si sceglie la via ‘funzionalista’ concentrando risorse e attenzione a settori specifici lasciando il resto, delegando il controllo degli aiuti di Stato alle autorità nazionali, riducendo al minimo la protezione dei consumatori, ambientale o nei luoghi di lavoro aprendo il cantiere della flessibilità ‘al ribasso’ rispetto a una regolamentazione armonizzata, si guadagnano consensi un po’ dappertutto (nei paesi del Nord come in quelli dell’Est), si risponde all’allergia alla iper-regolazione europea (pensiamo alla sensibilità dei settori industriale e finanziario). Però, con ogni probabilità si corre il rischio di smarrire il senso di marcia e comunque mettersi d’accordo sulle priorità riproporrà i contrasti di sempre.
La via integralmente federalista è la più semplice a immaginare, ma che sia realizzabile nelle condizioni di questa fase è assai dubbio e, infatti, è accarezzata sì, ma considerata sempre meno probabile. Juncker ha promesso nei prossimi mesi una serie di approfondimenti su politiche sociali, economiche (tema globalizzazione), unione monetaria, Difesa e sicurezza, finanze della Ue. Si può immaginare che la vera discussione sarà sullo scenario numero 3, cioè il profilo dell’Europa a velocità multiple, con l’idea di forzare le tappe su una cooperazione rafforzata per sicurezza e Difesa. Uno scenario già apertamente sostenuto da Angela Merkel (e dall’Italia).
Il rafforzamento dell’Eurozona fa parte di questa opzione: la base di riferimento di Juncker è il documento dei 5 presidenti Ue del 2015, che immaginavano una integrazione economica e delle politiche ad essa collegate sempre più ‘perfetta’ con spostamenti ulteriori di sovranità da condividere “al centro” (bilanci, tasse, banche, assicurazione contro la disoccupazione, bilancio Eurozona con una specie di ministro finanziario unico, magari emissioni comuni di debito). Terrebbe una Unione europea che al centro ha un ‘aggregato’ politico istituzionale della potenza dell’Eurozona, che ‘batte’ una moneta globale, che per sopravvivere dovrà necessariamente integrarsi sempre di più, con opzioni per l’intera Ue a 27 improntate al minimalismo cooperativo? E può reggere l’unione monetaria senza realizzare al proprio interno un federalismo compiuto?
Nel ‘libro bianco’ c’è una parte analitica interessante che ricorda come l’Europa a 27 stia rapidamente diventando marginale in termini di pil (26% del pil globale nel 2004, 22% nel 2017) e in termini di popolazione (11% nel 1960, 6% nel 2015, 4% nel 2060). Deve farsi carico della propria sicurezza. Juncker affossa così le disquisizioni storico-politiche sulla ‘potenza gentile’: “Essere una ‘soft power’ non è più sufficientemente potente quando la forza può prevalere sulle regole”, è scritto nel libro bianco. E con un rovesciamento dei linguaggi, denomina le ‘cooperazioni rafforzate’ “coalitions of the willing”, coalizioni dei volonterosi, espressione coniata dall’amministrazione Bush per definire i paesi alleati per abbattere il regime iracheno nel 2003. Anche il linguaggio è un segno dei tempi.