Ora la partita dei conti pubblici e della risposta italiana alla richiesta della Commissione Ue di una manovra di bilancio aggiuntiva per 3,4 miliardi è tutta politica e dovrà essere giocata a Palazzo Chigi. Ci sono cinque giorni di tempo: entro mercoledì prossimo deve arrivare a Bruxelles la lettera del ministro Pier Carlo Padoan. Gli impegni sulla richiesta Ue “devono essere precisi”, ha ribadito oggi il vicepresidente della Commissione Dombrovskis. La novità della giornata è la presa di distanze di Padoan da una linea di collisione con Bruxelles, cioè dal rifiuto secco della richiesta europea chiaramente propugnata dal gruppo dirigente del Pd (Renzi-Orfini): il ministro del Tesoro esce per la prima volta allo scoperto su questo tema indicando che l’apertura di una procedura Ue per violazione del patto di stabilità è molto rischiosa per l’Italia che si gioca la “reputazione”. Ora tocca al premier prendere la decisione: la risposta a Bruxelles è così diventata la cartina di tornasole delle prossime mosse della politica nazionale in una fase di avvicinamento alle elezioni.
Non è chiaro se il crescendo di dichiarazioni da una parte (governo) e dall’altra (Commissione) abbia ampliato o ristretto i margini del negoziato in corso sulla manovra aggiuntiva nel 2017. Negoziato che continua. Sta di fatto che ormai si è precisato il carattere eminentemente politico della questione: se il governo risponde picche alla Commissione respingendo la stessa eventualità di correggere i conti pubblici con misure da 3,4 miliardi quest’anno, vuol dire che assumerà il rischio delle conseguenze politiche di una procedura europea per deficit pubblico eccessivo. Vuol dire anche che manderà un messaggio preciso al paese e alla Ue: le elezioni si avvicinano e la piattaforma politica del partito che regge il governo, cioè il Pd, avrà un segno marcatamente critico verso la Ue, se non di aperta contrapposizione con le politiche praticate finora. Proseguendo, in sostanza, la linea Renzi. In un contesto di scontro politico-elettorale in cui è probabile prevarrà l’agitazione di temi anti-Ue.
Schierandosi nettamente e pubblicamente a favore di una scelta più moderata e più ponderata, il ministro Padoan ha fatto capire che ormai la partita non è più nelle sue mani in quanto ministro dell’economia: tocca al premier decidere. E ha fatto capire che il Tesoro preferirebbe soluzioni intermedie: se è difficile accettare integralmente la richiesta della Commissione europea (un ‘minimo sindacale’, dato che chiede uno sforzo pari allo 0,2% del pil contro uno sforamento dello 0,8%), si tenta la strada di un compromesso. Per esempio lo spostamento del momento delle verifiche e delle scelte più precise ad aprile. Il vicepresidente della Commissione Dombrovskis ha ribadito che Bruxelles aspetta “impegni precisi”, ma non ci sono segnali che Jean Claude Juncker abbia deciso di consumare fino in fondo uno scontro con l’Italia. D’altra parte, Pierre Moscovici, titolare degli affari economici, continua a ripetere che una soluzione sarà trovata.
La cosa certa è che la successione e l’intreccio di eventi diversi, interni ed esterni, ha in parte modificato la situazione. Non ci sono solo Olanda, Francia e Germania alle prese con una lunga fase di incertezza politica: l’anno elettorale europeo riguarda anche l’Italia. Solo che l’Italia ha un alto debito, si trova in area ‘B’ nella valutazione delle agenzie di rating, gli spread sui titoli sovrani decennali sono in aumento e rischia di trovarsi tra sei-nove mesi con la prospettiva di un rincaro degli oneri sul debito.
Non è un caso che il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem abbia parlato del governo Gentiloni come di un governo ‘ad interim’. Cioè a tempo, provvisorio. Se è doveroso ricordare che Dijsselbloem rischia fra due mesi di non essere più ministro, è un fatto che interpreti e raccolga l’umore degli altri ministri del Tesoro e di alcuni in particolare (per dirla tutta, del tedesco Schaeuble). Ma all’Italia conviene assumere un rischio reputazionale, rimettere in discussione la credibilità costruita negli ultimi anni, per 3,4 miliardi? Dalla sua posizione di ministro dell’economia, Padoan dice no. E questo è l’elemento del quale, ecco il messaggio interno del ministro, il governo dovrà tenere conto.