L’incontro tra il commissario agli affari economici Pierre Moscovici e il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan a Davos è il primo contatto diretto dopo l’invio della lettera con la quale la Commissione ha chiesto all’Italia di assumere una serie di impegni di riduzione del deficit in termini strutturali per 3,4 miliardi quest’anno (pari allo 0,2% del pil). Il tempo a disposizione è limitato a un paio di settimane: il governo deve prendere delle decisioni entro il primo febbraio per evitare una procedura per deficit eccessivo a causa del mancato rispetto della regola di riduzione del debito. A quanto risulta a Il Sole 24 Ore Radiocor, la linea che la Commissione intende tenere nelle discussioni con l’Italia è questa: la richiesta di una manovra per 3,4 miliardi è da considerare sostanzialmente il ‘minimo sindacale’ per permettere all’Italia di rispettare in termini generali il patto di stabilità (‘broadly compliant’ è il termine usato in inglese). Il rischio implicito per l’Italia, in mancanza di impegni in tale direzione, è che salti una parte del margine di flessibilità ottenuto dall’Italia nel 2016 grazie alle clausole sulle riforme strutturali e sugli investimenti. Quel margine era pari a 12,5 miliardi (0,75% del pil): se non ‘coperto’ dalle clausole aumenterebbero in prospettiva lo sforzo di bilancio futuro. Questo perché, come scritto nella lettera di Valdis Dombrovsis e Pierre Moscovici a Padoan, “il rispetto in termini generali delle regole preventive nel 2017 era una precondizione per parte della flessibilità concessa per il 2016”. Se ciò avvenisse, una procedura per deficit eccessivo che riguarda anche i conti dell’anno scorso, e non solo il debito, apparirebbe inevitabile almeno sulla carta. Il confronto Bruxelles-Roma appare per ora tutto in salita.
In ogni caso è evidente che la partita tra Commissione e Tesoro non è puramente tecnica e che non ci sono segnali di un cambio di orientamento di Juncker sulle politiche di bilancio (all’insegna cioè della ‘flessibilità interpretativa’ delle regole Ue. E’ vero che l’economia si riprende però la situazione è ancora all’insegna della debolezza, l’inflazione risale (oggi è stato confermato che la crescita dei prezzi su base annuale nella zona euro è salita all’1,1% a dicembre), ma è un fatto che l’Italia ha chiuso il 2016 con un tasso d’inflazione negativo.
Non solo: la crescita italiana è più debole della media Eurozona e rispetto al ritmo degli altri grandi paesi. Poi c’è il contesto politico: una procedura sul bilancio dello Stato, di uno Stato del peso economico e politico dell’Italia, può essere un argomento che ‘nutre’ opinioni e posizioni euroscettiche. Inoltre, una manovra di 3,4 miliardi per l’economia italiana può avere un certo effetto depressivo marcato, cosa che rende automaticamente ancora più difficile la riduzione del debito.
Sta di fatto però che i margini per un prolungamento della fase di sospensione del giudizio sul caso italiano appaiono stretti. A quanto risulta, è l’unico caso sul quale Bruxelles intenderebbe intervenire in questi primi mesi se non ci saranno da parte italiana delle risposte convincenti: impegni su misure di bilancio in termini strutturali (cioè al netto di una tantum e degli effetti del ciclo economico), un calendario credibile per la loro adozione.
La pressione per chiarire il caso italiano proviene sicuramente da diversi ministri dell’Eurogruppo: in termini generali il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble ha più volte accusato la Commissione Juncker di assumere decisioni esclusivamente “politiche” sui bilanci pubblici. Che poi nelle relazioni con il governo italiano, la parte tedesca appaia più conciliante è però un dato di fatto. Ma la pressione proviene anche all’interno della stessa Commissione europea, dall’ala più ‘ortodossa’ rappresentata da Dombrovskis (responsabile dell’euro), Katainen (crescita e investimenti), Vestager (concorrenza), Malmstroem (commercio).
La situazione italiana non è cambiata rispetto a metà novembre, quando la Commissione pubblicò la sua opinione sulla legge di bilancio 2017. Sulla base delle ultime previsioni Ue (che saranno aggiornate a metà febbraio) l’Italia appariva nel 2016 a rischio di “qualche deviazione” dai requisiti europei dal percorso di aggiustamento verso il quasi pareggio. Tale conclusione, disse la Commissione, “si incardina sulla considerazione che la concessione di una deviazione temporanea dall’aggiustamento di 0,75% del pil (12,5 miliardi ai valori 2016) sulla base delle clausole per riforme e investimenti”. Però, ecco un’aggiunta che oggi acquista una importanza rilevante, “una condizione necessaria per concedere parte di quel margine era che l’Italia riprendesse l’aggiustamento nel 2017, cosa che non appare rispettata”. Nel 2017 appariva “a rischio di una deviazione significativa” (situazione peggiorata rispetto al 2016).
Nella formulazione dell’Eurogruppo di un mese e mezzo fa, la ‘finanziaria’ italiana è stata giudicata a rischio “di non rispettare” i requisiti del patto di stabilità perché lo sforzo di bilancio in termini strutturali sarà negativo (-0,5% del pil) mentre è richiesto un aggiustamento strutturale pari allo 0,6% del pil.
Quanto al debito, “a prima vista” l’Italia non rispetta la regola di riduzione. Nel maggio 2016, Bruxelles indicò che l’Italia non la rispettava, ma stabilì che a causa di tre fattori rilevanti potesse essere considerata in linea con il patto di stabilità. I tre fattori erano le condizioni economiche sfavorevoli, l’impegno per le riforme e “l’aspettativa del rispetto dell’aggiustamento richiesto una volta concessa la flessibilità” per il 2016. Così era scritto nel rapporto sul debito italiano del maggio 2016. A metà novembre, la legge di bilancio, indicò la Commissione, “non prevede il rispetto della regola del debito sia nel 2016 (scarto del 4,6% del pil) che nel 2017 (scarto dell’1,9% del pil), il che significa che tale rispetto è rinviato” facendo riferimento al programma di stabilità per il 2016.
Ora tutto si giocherà di nuovo sui ‘fattori rilevanti’. La linea del Tesoro è che sostanzialmente le condizioni economiche dell’economia interna e dell’area euro restano favorevoli, che l’andamento dei mercati finanziari ha reso impossibile raggiungere gli obiettivi delle privatizzazioni in termini di incassi. E che una manovra dell’entità richiesta avrebbe effetti negativi sulla stessa crescita. Per dare un’idea dell’entità della manovra chiesta da Bruxelles, lo 0,2% di pil equivale grossomodo al valore in termini di entrate della tassa sulla prima casa abolita dal governo Renzi.