La partita sulla flessibilità non si gioca soltanto fra Parigi e Bruxelles o fra Roma e Bruxelles. Si gioca fra l’Eurozona nel suo complesso, intesa come governi partecipanti e istituzioni europee, e la Bce. Una smentita clamorosa delle regole di bilancio nel caso francese, che rinvia nuovamente la riduzione del deficit/pil sotto il 3% al 2017 dopo aver ottenuto già due dilazioni consecutive, metterebbe in discussione la credibilità del patto di stabilità che Mario Draghi ha ribadito essere “l’ancora della fiducia”. E’ la stessa àncora che permette a Draghi di seguire la pista delle misure non convenzionali sui mercati pur con l’opposizione della Bundesbank. Una flessibilità al buio per l’Italia potrebbe comportare un rischio analogo, anche se l’Italia, rispetto alla Francia, è completamente immersa in una situazione “eccezionale”: tre anni consecutivi di recessione. Un fattore “rilevante” dal quale non si può prescindere. La novità della situazione è che lo slalom tra le regole di bilancio per trovare la giusta misura senza minarne la credibilità è sempre più complicato, al limite dell’impossibile.
Mario Draghi non ha usato toni professorali, non ha usato la bacchetta o quant’altro. Anzi. A Napoli si è limitato a ribadire tre cose: le regole di bilancio ammettono flessibilità e questa va usata; la Francia deve rispettare le regole e ho fiducia che farà le riforme; i paesi che hanno spazio in bilancio, cioè la Germania, devono fare degli investimenti pubblici. Nel famoso discorso a Jackson Hole, il 22 agosto scorso, aveva aggiunto che “un maggiore coordinamento tra i vari orientamenti delle politiche di bilancio nazionali dovrebbe promuovere in linea di principio un orientamento a livello aggregato più favorevole alla crescita per l’area dell’euro”. Mentre nell’Eurozona è conclamato che esiste un problema di domanda (il discorso di fine agosto del presidente Bce era centrato proprio su questo elemento), è paradossale che la Germania punti al pareggio in tutti i prossimi anni, un’esigenza solo in parte giustificabile con l’invecchiamento della popolazione (entro il 2060 la popolazione tedesca diminuirà di circa 10 milioni e già oggi vivono in Germania meno giovani sotto i 15 anni rispetto a tutta Europa). E’ una novità che il tentativo di sbloccare le regole del patto di stabilità (da parte di Francia e Italia, questa volta dopo l’impegno dei capi di Stato e di Governo a usare tutta la flessibilità scritta nelle regole) si associ alla richiesta di un riequilibrio delle politiche di bilancio là dove ci sono gli spazi per agire, cioè in Germania. Se e quando la questione dei deficit pubblici arriverà al massimo livello politico (e sono in diversi a pensare che ad un certo punto nei prossimi mesi lì arriverà) il confronto tra i capi di Stato e Governo non potrà che avvenire su tutti gli aspetti del riequilibrio e del rilancio dell’economia europea.
Le bordate dei premier francese e italiano contro la tecnocrazia di Bruxelles irritano la suscettibilità dei commissari e dei funzionari europei: ricordano sempre che sono loro a dover ‘slalomare’ fra regole concordate dai governi. L’effetto delle parole e soprattutto le scelte concrete a seconda della loro direzione ampliano o restringono il margine di manovra della Bce. A Bruxelles ci si chiede per esempio quanto a lungo possa durare una situazione in cui la Bundesbank è all’opposizione. Finora Draghi ha avuto il sostegno del governo tedesco, ma se passano degli ‘strappi’ al patto di stabilità lo avrà ancora?
Non ci sono indicazioni sul modo in cui procederà la Commissione (la vecchia) e neppure la nuova. Pierre Moscovici, commissario designano agli affari economici, è stato rigoroso nel metodo (se la Francia non prende le misure necessarie la procedura europea continua) quanto generico nei contenuti (useremo la flessibilità prevista dalle regole). Fino a quando non si scende nei dettagli la discussione resta o ideologica o inutile (probabilmente entrambe le cose). Mentre la decisione francese di spostare ancora in avanti la data del passaggio a un deficit sotto il 3%, ora al 2017, alla Commissione viene percepita come uno strappo, è chiaramente notata e valutata la scelta di Renzi-Padoan di voler difendere a tutti i costi l’impegno a non oltrepassare il 3%. Non è detto che basti. Nel caso italiano la Commissione si trova per la prima volta di fronte a un problema: non era mai successo che un governo dichiarasse la sospensione per un anno dell’aggiustamento del bilancio in termini strutturali (passa da 0,7% nel 2013 allo 0,9% nel 2014, resta allo 0,9% nel 2015 per scendere nel 2016 allo 0,4%). La famosa clausola del taglio di almeno lo 0,5% del deficit/pil strutturale annuo va a farsi benedire. Peraltro già nel 2014 l’Italia, secondo le regole, avrebbe dovuto garantire un taglio strutturale del deficit/pil dello 0,7%. Senza sospensione dell’aggiustamento in termini strutturali addio manovra espansiva di 11 miliardi per uscire dalla recessione.
Secondo i calcoli del Tesoro, se non si tenesse conto della recessione (circostanza eccezionale) e si rispettasse l’obiettivo del pareggio sarebbe necessaria una manovra nel 2015 pari allo 0,9% del pil. Se fosse tutta di tagli alla spesa ci sarebbe una minore crescita nel 2015 di 0,3% e di 0,1% nel 2016. Per rispettare anche la regola del debito, la spesa dovrebbe essere tagliata nel 2015 del 2,2% del pil con un impatto negativo sulla crescita di 0,8% nel 2015 e di 0,1% nel 2016. Con il rischio di recessione se i moltiplicatori fiscali fossero più alti di quelli stimati. La Commissione dovrà dire se ritiene tale percorso fattibile o no. Sul no punta l’Italia. Bruxelles potrebbe accettare questo quadro, o un quadro molto simile, non rinunciando tuttavia a stringere le corde della sorveglianza. Per una eventuale procedura sul 2014, però, occorre aspettare la chiusura dei conti dell’anno, cosa che avverrà nella prossima primavera. Quindi c’è un po’ di tempo.
Altro scenario se il ‘falco’ Katainen decidesse che una o più leggi di bilancio che saranno presentata entro metà mese, dovrebbero essere modificate: ha due settimane di tempo per deciderlo, data limite fine ottobre. L’Italia rischia molto meno della Francia. Sulla Francia, che non si trova in recessione (pil a 0,4% quest’anno, 1% nel 2015, 1,7% nel 2016) è già emerso un fortissimo malumore tra i ministri dell’Eurogruppo nella riunione di Milano: gli argomenti contrari a concederle ancora più tempo per portare il deficit/pil sotto il 3% sono arrivati dai paesi sotto Troika e dalla Spagna, non solo dal tedesco Wolfgang Schaeuble. Inedito ‘fronte’ anti-francese. L’argomento dell’equità di trattamento è più forte dell’interesse che che la seconda economia dell’area (la Francia) e la terza (l’Italia) escano rapidamente dalla situazione di stallo.
Quanto è realistico lo scenario della ‘bocciatura’ di un progetto di bilancio da parte della Commissione con la richiesta di correzioni? A parte il fatto che José Barroso dovrà trovare l’accordo con Jean Claude Juncker dato che la nuova Commissione entrerà in carica il primo novembre, in astratto mostrare durezza formale adesso potrebbe salvare la credibilità delle regole e aprire la porta alla massima flessibilità subito dopo. Ma non è detto che sia politicamente sostenibile, nel caso della Francia con Marine Le Pen alle porte.