Si ingarbuglia non poco il confronto del Parlamento europeo con i commissari designati: ormai siamo alla presa di ‘ostaggi’ tra le diverse famiglie politiche con il Partito popolare che difende i ‘propri’ campioni, il Pse che fa altrettanto, i liberali battitori liberi ma attenti a difendere le posizioni (sono liberali le due donne in posti chiave, concorrenza e commercio, più un vicepresidente al mercato unico digitale). Così è stata rinviato – almeno di qualche ora – il giudizio sul socialista Pierre Moscovici (affari economici), bersagliato dalla destra perché ritenuto non credibile, ritenuto responsabile del mancato rispetto delle regole di bilancio da parte della Francia. Due candidati, il britannico Hill (servizi finanziari) e l’ungherese Navracsis dovranno rispondere a nuove domande. L’audizione di Moscovici ha messo in luce l’incertezza su come concretamente la Commissione garantirà “il miglior uso” della flessibilità sui bilanci: l’esponente francese si è mantenuto sulle generali. Né è chiaro quale sarà il suo mandato: sopra di lui avrà il vicepresidente per l’euro Dombrovskis. All’Europarlamento non piace la divisione tra commissari di serie A e commissari di serie B. Il presidente Juncker si difende: la mia Commissione sarà focalizzata sulle priorità e i commissari coopereranno.
E’ presto per dire come andrà a finire il confronto nuova Commissione-Parlamento: da un lato i gruppi politici vogliono far pesare il loro ruolo, ma non possono respingere un commissario perché si esprimeranno con un voto sull’intero collegio. Non c’è aria di bocciature. Mancano ancora diverse audizioni, due designati sono stati rimandati “a settembre”. Lord Hill non ha convinto la commissione affari economici e monetari: non sapeva nulla di eurobond, poco di unione bancaria. Dell’ungherese Navracsis i socialisti hanno concluso che non ha avanzato alcuna idea concreta su programmi importanti per il suo portafoglio (educazione, cultura, giovani, cittadinanza) come Erasmus, Europa creativa, Europa dei cittadini. I popolari hanno bersagliato non poco Moscovici sulla finanza pubblica francese e non vogliono dare il via libera al giudizio positivo se i socialisti non assicurano lo stesso trattamento allo spagnolo Arias Canete (energia e clima).
Oggi è emerso con forza il tema dell’economia e del ‘che fare’ sui bilanci pubblici. Moscovici si è districato bene: gran seduttore del pubblico, è stato attentissimo a non dire una parola più del ‘politicamente corretto’ sui bilanci pubblici. Rispetto delle regole, anche contro la Francia se necessario. No a regole creative. Ma tutto nel contesto di una chiara priorità: fra crescere l’economia, creare lavoro. Senza crescita non calano i debiti, senza stabilità finanziaria non c’è crescita. E’ “flessibili sta”, ma non può dirlo e così si limita ad richiamare l’obbligo di rispettare il principio di non ‘servire’ nessuno, di far rispettare le regole a tutti, a cominciare dalla Francia. Ma ricorda che le regole prevedono anche dei margini di manovra. Nessuno può essere in disaccordo. Nella discussione in aula era ben presente la novità: la seconda e la terza economica dell’Eurozona (Francia e Italia) che chiedono più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio. Situazioni diverse: la Francia è in procedura per deficit eccessivo, l’Italia no e non vuole rientrarvi. Ma è ovvio che la linea scelta è comune: se non lo fosse il tentativo di entrambi sarebbe destinato al fallimento. Che la partita aperta da Parigi e Roma convincerà gli altri paesi, in primo luogo la Germania, è tutto da vedere. Con tutte le difficoltà a far ripartire l’economia è difficile immaginare che un accordo sul modo di procedere non sarà trovato.
La Francia viene accusata di aver agito ancora una volta unilateralmente. Anche il governo Renzi ha presentato la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, con il rinvio al 2017 del pareggio in termini strutturali e un deicit/pil nominale al 3% quest’anno e al 2,9% nel 2015 per permettere una manovra anti-recessione/stagnazione, senza accordi preventivi con Bruxelles. I toni contano. Il premier Valls dichiara che la Francia “non sta chiedendo, prende le sue decisioni”. Renzi non è da meno, ma aggiunge sempre che per l’Italia il 3% resta la barriera da non superare. C’è da chiedersi, però, se la scelta dell’unilateralità sia quasi obbligata o meno. E’ dalla primavera che si discute della flessibilità da usare nella valutazione dei bilanci pubblici. I capi di Stato e di Governo hanno deciso a fine giugno di accentuare il ricorso alla flessibilità nel quadro delle regole attuali. Per evitare scelte unilaterali l’Eurogruppo avrebbe dovuto fissare delle linee guida condivise sul modo di procedere. Da un lato è risultato impossibile viste le profonde divisioni su come e a favore di quali paesi usare i margini di manovra disponibili; dall’altro lato la predeterminazione di linee guida avrebbe avuto il sapore di un’imposizione esterna. Con il peso del voto euroscettico alle spalle non è il caso. Quantomeno c’è un difetto di fondo nell’esercizio della sovranità condivisa, un difetto di cui sono responsabili tutti i governi.