Italia e Francia guidano di fatto la corsa alla flessibilità sulle regole di bilancio. La contestualità degli annunci non è incidentale: è vero che tutti i governi devono inviare i progetti di legge di bilancio 2015 entro metà ottobre a Bruxelles, ma è un fatto che la logica del rinvio degli obiettivi è comune ai due paesi anche se la loro posizione di finanza pubblica è diversa. L’Italia, con il pareggio strutturale rinviato al 2017 e un deficit/pil fra il 3% quest’anno e il 2,9% l’anno prossimo, vuole assicurarsi un margine di 10-11 miliardi per interventi anti-recessione/stagnazione. La Francia ha un deficit del 4,4% quest’anno che non scenderà al 2,8% che fra tre anni (terzo rinvio dell’obiettivo). C’è differenza tra i due paesi, naturalmente, visto che un conto è porsi l’obiettivo del pareggio strutturale e un altro conto è star sopra il fatidico 3%. Ma l’Italia ha un debito pubblico colossale, la Francia no e riesce a finanziarsi sul mercato a costi molto bassi da tempo immemorabile. Le prime reazioni sono scontate: la cancelliera Angela Merkel e il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem avvisano che gli impegni vanno rispettati. La Commissione europea, in fase di transizione tra la vecchia formazione e la nuova, prende tempo. Sulla carta potrebbe anche chiedere nel giro di 15 giorni modifiche alle finanziarie, ma si tratta di una eventualità che si ritiene remota. Per le valutazioni Ue occorrerà aspettare almeno un mese di analisi e negoziati molto complessi.
Si punta l’attenzione sul messaggio di “rifiuto dell’austerità” inviato dal ministro francese Sapin: i suoi toni sono un po’ più ‘tirati’ di quelli di Pier Carlo Padoan. Ma il senso di marcia è comune: le scelte di bilancio, quindi gli obiettivi annuali e pluriennali sul livello di deficit strutturale, vanno adattate al ciclo economico, che è stagnante nell’Eurozona e recessivo in diversi paesi (per l’Italia sono tre anni consecutivi di recessione). Peraltro sia l’Italia che la Francia non interrompono l’aggiustamento, tra spending review e 50 miliardi di risparmi di spesa in tre anni rispettivamente.
La Commissione europea non ha fornito indicazioni sulle opzioni possibili: prima devono arrivare a Bruxelles tutti i progetti di bilancio dei paesi europei, anche sulla base di questi saranno elaborate le nuove previsioni macro-economiche che usciranno i primi giorni di novembre. Solo a quel punto si conosceranno le sue valutazioni, presumibilmente prima della riunione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin fissate per il 9 e il 10 novembre.
Teoricamente è possibile che qualche progetto di ‘finanziaria’ sia rimandato al mittente perché completamente insoddisfacente. Se la Commissione identifica “inosservanze particolarmente serie degli obblighi di politica di bilancio previsti dal patto di stabilità e di crescita” può chiedere che sia modificato. In tal caso c’è una settimana di consultazione Bruxelles-Stato membro, entro due settimane dal momento in cui la Commissione ha ricevuto il testo deve chiedere al governo nazionale di cambiarlo. Il ‘falco’ Jyirki Katainen, che ancora per 30 giorni la responsabilità degli affari economici (poi diventerà vicepresidente per la competitività e la crescita) potrebbe dare (sempre in teoria) la zampata. Si tratta di unp scenario che allo stato attuale viene giudicato improbabile. E’ un fatto che molti governi dell’Eurozona non sono ben disposti soprattutto nei confronti della Francia: non solo i ‘falchi’ del Nord, ma anche i paesi che hanno dovuto sottoporsi alle terapie della Troika hanno già sollevato il problema dell’”uguaglianza di trattamento” nell’area della moneta comune. Questo però accadeva prima che fosse consolidato lo scenario di generalizzato peggioramento del quadro economico.
In questa fase un aspetto che viene giudicato fondamentale per il confronto sui ‘rinvii’ degli obiettivi di bilancio è quale peso sarà dato all’andamento dell’economia in relazione alle “deviazioni significative” dagli impegni assunti (che si constatano sia nel caso italiano che nel caso francese). Si tratta di determinare se queste deviazioni sono dovute in buona parte (o in quale misura) da “circostanze eccezionali”. Per “circostanze eccezionali” si intendono, recita il fatidico ‘fiscal compact’, “eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata (lo Stato – ndr) che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure periodi di grave recessione economica”. Condizione per la flessibilità sui tempi del consolidamento è che la “deviazione temporanea non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine”.
Poi c’è il discorso delle riforme strutturali: stando alle interpretazioni finora accreditate dalla Commissione europea, la valutazione sull’impatto sul bilancio e sull’economia vengono fatte ex post. Ma certamente rientrano nella valutazione del percorso futuro della finanza pubblica e della capacità di crescita dell’economia (condizione fondamentale per poter ridurre i debiti). Si tratta di vedere se tale percorso può avvenire senza che scattino procedure più strette di sorveglianza europea.