E’ stato una assoluta sorpresa per i ‘palazzi’ europei (Consiglio, Commissione e Parlamento) l’affondo franco-tedesco per accelerare l’integrazione dell’unione economica e monetaria anche perché costringerà i Capi di Stato e di Governo a discuterne apertamente nella riunione di fine giugno, a dire se e come intendono procedere, con quali tempi. Così un vertice che molti, Enrico Letta in testa, volevano centrato sulle fatidiche ‘cose concrete’, piano per l’occupazione giovanile in primo luogo, aggiungerà altra carne al fuoco, una carne che non è detto sarà facilmente digeribile, non bastassero le grandi difficoltà nei negoziati sull’unione bancaria (chi paga per la ristrutturazione e la gestione ordinata del fallimento delle banche) e sulla ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del Fondo salva-Stati. In ogni caso, l’iniziativa Hollande-Merkel, con l’idea di un presidente dell’Eurogruppo a tempo pieno e la replica di ‘Eurogruppi’ dei ministri dell’industria, del lavoro e della ricerca, è destinata ad aprire nuovi scenari.
La proposta franco-tedesca è a tre dimensioni. La prima riguarda l’assetto politico-istituzionale dell’unione monetaria: vertici più regolari nella zona euro, presidente a tempo pieno del gruppo dei ministri finanziari “con mezzi rafforzati a disposizione” e la possibilità di incaricare altri ministri di lavorare su temi specifici (lavoro e affari sociali, ricerca o industria, appunto). La seconda dimensione riguarda la responsabilità politica: l’idea è prevedere “strutture specifiche” dell’area all’interno del Parlamento europeo dopo le prossime elezioni del 2014 per garantire il controllo democratico e una legittimità appropriati del processo decisionale. Al Parlamento il compito di decidere come. Terza dimensione: ruolo delle parti sociali “usando meglio il vertice sociale tripartito” (in sostanza le riunioni con imprese e sindacati prima dei Vertici europei sono un rito che si ripete stancamente).
Le novità sono diverse. Un presidente permanente dell’Eurogruppo, prospettiva della quale nelle segrete ‘stanze’ europee si parla ultimamente con sempre maggiore insistenza (come Il Sole 24 Ore Radiocor ha anticipato la scorsa settimana), rappresenterebbe un salto triplo. Implicherebbe un livello di integrazione molto più alto dell’attuale e per questo dovrebbe essere la conseguenza diretta di una più estesa condivisione della sovranità di bilancio (non si tratta di trasferimento di sovranità) di cui al momento non ci sono i segni nonostante il complicato castello della ‘governance’ tra ‘six pack’, ‘two pack’, ‘fiscal compact’ e quant’altro. L’estensione del modello Eurogruppo ad altri settori dell’azione di governo è coerente con tale prospettiva: il documento franco-tedesco parla di “coordinamento rafforzato” su mercato del lavoro, disoccupazione e politiche sociali, pensioni, mercati dei prodotti, fiscalità, efficienza del settore pubblico, innovazione e scuola. Lo spazio Eurozona nel Parlamento europeo è un’altra di quelle ‘bombe’ che piaceranno molto ai britannici e in generale agli euroscettici (si fa per dire…): già qualche giurista ha strabuzzato gli occhi per l’estrema difficoltà di muoversi nelle norme vigenti.
L’obiettivo è un salto politico effettivo dell’Eurogruppo (nei vari formati dai capi di stato e governo ai ministri finanziari e a ministri di altri settori economici) come cervello e motore dell’unione monetaria, modello più intergovernativo che comunitario, che sta cioè nell’alveo della tradizione a 27 centrata sul ruolo della Commissione. La quale, peraltro, non viene neppure nominata (e qui si capisce la freddezza dei commenti dell’esecutivo Ue guidato da José Barroso). Si tratta di idee che si inseriscono in un dibattito aperto da diversi mesi sul futuro dell’unione monetaria e ‘strappano’ su aspetti cruciali. La Commissione per esempio ha sì proposto un ‘ministro’ del Tesoro europeo per gestire un bilancio dell’Eurozona ruolo, svolto da un vicepresidente dello stesso esecutivo (si tratterebbe dello stesso ruolo svolto oggi ha Lady Ashton per la politica estera), ma è sempre stato visto un obiettivo a medio termine, fra tre-cinque anni. La crisi infinita, la gestione della fase di flessibilità sui bilanci pubblici (a cui la Germania si è dovuta piegare), la necessità di azioni coordinate efficaci sull’occupazione, l’urgenza di stabilizzare il sistema bancario richiedono una concentrazione straordinaria degli sforzi, delle scelte nazionali, dei controlli e della capacità di agire all’unisono in un quadro di regole chiare. Più sono chiare e più sono precisi i controlli, più probabile che la Germania ci stia.
La piattaforma politica franco-tedesca presenta non pochi vuoti, alcuni voluti. Essendo un capolavoro di equilibrismo, si ripete continuamente che il ‘livello nazionale’ continua a esercitare il controllo democratico, la legittimità, il principio di sussidiarietà resta un pilastro ineliminabile (principi sui quali si sono battuti i francesi). Nulla si dice sugli Eurobond (che pure sarebbero uno strumento con il quale una unione monetaria completa può operare sui mercati). Berlino ne vuole sapere. Il compromesso sulla ‘risoluzione’ bancaria è al minimo con grandi concessioni alle posizioni tedesche: l’autorità unica Ue che prenderà decisioni sulle modalità di ristrutturazioni e fallimenti “associa le autorità di risoluzione nazionale”, il meccanismo unico di ‘risoluzione’ prefinanziato dalle banche deve poggiare su dispositivi “a livello nazionale”. Nessun rischio di mutualizzazione dei debiti bancari o di prestiti obbligati tra Fondi di ‘risoluzione’ nazionali.
Infine le politiche per l’industria e il commercio: nel documento vengono citate in una forma troppo generica per scontentare qualcuno. Ma c’è un riferimento al rapporto presentato dal gruppo di lavoro franco-tedesco presieduto da Jean-Louis Beffa (Saint-Gobain) e Gerhard Cromme (Siemens). Rapporto che contiene due messaggi molto chiari: assicurare flessibilità nella valutazione antitrust delle fusioni di imprese europee estendendo da due a cinque anni il periodo di valutazione di impatto economico per tenere conto degli sviluppi a medio termine del mercato mondiale e non sacrificare i ‘campioni’ industriali europei; rimettere al centro delle politiche energetiche la competitività dei prezzi superando una fase in cui la politica europea si è focalizzata sul contrasto al riscaldamento climatico. Un vero e proprio programma politico. Forse non ci si dilunga troppo su tali argomenti perché costituiscono uno dei terreni sui quali Francia e Germania vorrebbero risultati a stretto giro di posta.