Tempi durissimi per l’Unione europea. Settimane di passione e tensione sono alle viste. Il voto in Francia innanzitutto: il timore numero uno della Commissione è l’accentuarsi senza freni della polemica populista come antidoto alla crisi. Rischio che proviene più da Sarkozy che da Hollande, a causa della corsa ad acchiappare il Fronte lepenista. Dal ‘buy european’ (compra europeo e non più cinese, americano o quant’altro) al ‘Dalli all’Europa!’ il passo è brevissimo. Ma certo gli attacchi del candidato socialista al ‘fiscal compact’ non sono zuccherini: pensiamo solo all’effetto che possono avere sugli irlandesi che il 31 maggio sono chiamati a ratificare il Trattato sulla disciplina fiscale. Gli irlandesi hanno tutto l’interesse alla vittoria del sì dato che se prevalesse il no automaticamente si fermeranno gli aiuti di salvataggio, ma quel referendum non è una strada in discesa.
La campagna elettorale francese finirà, le tracce del discorso populista resteranno. In Olanda è l’islamofobo Geert Wilders a dettare l’agenda politica al grido: no ai diktat di Bruxelles sui conti pubblici. Il governo minoritario di centro-destra annaspa, sempre più probabile il ricorso al voto. Come se per l’Olanda fosse indifferente mantenere o perdere la fatidica tripla A (dopo che l’hanno persa Francia e Austria). Il 6 maggio non c’è solo il secondo turno della presidenziale francese, si vota anche in Grecia, paese dilaniato che lotta per la sopravvivenza nell’Eurozona. Rischio numero uno: la polverizzazione della rappresentanza politica, un parlamento frammentato.
In settembre potrebbe esserci il voto in Olanda. A quella data è presumibile che in Italia sarà già campagna elettorale ad alzo zero. Futuro incertissimo dunque, mentre la recessione incalza, ci si preoccupa per i bilanci delle banche, mezzo mondo chiede (inascoltato) all’Europa di svegliarsi dal suo torpore. Nelle sue varie ‘versioni’ (Commissione, presidenza Ue, Eurogruppo), la Ue continua a mettere pezze su pezze. La sola che sta facendo davvero il proprio mestiere è la Bce, ma soffre anch’essa di “solitudine” in mancanza di un’Eurozona con alto profilo politico-istituzionale. Così si scade nella monotonia. Ogni giorno, con il timore che sia sempre più difficile puntellare l’impalcatura della disciplina di bilancio, la Commissione ribadisce che austerità e misure per la crescita sono due facce della stessa medaglia, ma è solo sulla prima che ci sono risultati mentre sulla seconda non ci sono segnali di novità, slanci di coraggio come sarebbe una decisione strategica sugli Eurobond. Con il risultato che la stessa disciplina di bilancio è a rischio. Il via agli Eurobond sarebbe un passo coerente con il recente e importantissimo rafforzamento del Fondo salva-stati, ma non è aria. In Germania si vota tra un anno e mezzo e Angela Merkel non rischierà la sconfitta sull’altare europeo. Che a Parigi ci sia Hollande o no. Così vanno le cose in Europa.