Dieci anni fa, per l’esattezza il primo gennaio 2002, cominciavano effettivamente a circolare l’euro in banconote e monete. Ci saremmo aspettati grandi celebrazioni, invece no. A parte il conio di un pezzo speciale da 2 euro, a parte qualche comunicato (oggi la Commissione europea) nulla. Chiaro perché: non c’è molto da festeggiare, la situazione dell’economia è piuttosto grave e il morale dei cittadini non è certo alle stelle. I governi e le istituzioni europee già parlano tutti i giorni e spesso con magri risultati rispetto a ciò che sarebbe necessario. L’altro giorno, un portavoce della Commissione si è lasciato un po’ andare e ha detto: niente celebrazioni, ma siamo fieri lo stesso di avere la moneta unica. Non averla sarebbe molto peggio. Mai come in queesti anni inflazione e tassi di interesse sono stati così bassi per anni, mai è stato così importante avere il riparo della stabilità valutaria. Che la crisi finanziaria e poi la recessione abbiano messo a nudo il vizio di origine dell’unione monetaria non può farlo dimenticare. Il vizio è la mancanza della ‘gamba’ politica alla costruzione della quale i governi stanno lavorando. Ma ci stanno lavorando così faticosamente e così poco coraggiosamente che il percorso a zig zag continua aggiungere incertezza all’incertezza.
Una delle novità di questa fine d’anno è che si parla da tempo di possibilità di rottura dell’Eurozona, le imprese preparano piani B, qualche governo pure. Brutto segnale che alimenta profezie che poi rischiano di materializzarsi davvero. Ci sono tanti argomenti per difendere l’euro, ma vale sempre la pena ricordarsi che in economia deve valere la stessa regola che deve essere difesa per l’ambiente: l’euro non è una eredità lasciata da una vecchia generazione di eurocrati, lo abbiamo solo preso in prestito per conto delle generazioni future. Alle quali dobbiamo anche garantire un lavoro perché altrimenti di euro in tasca ne avranno molto pochi.