Correzione degli errori passati, aggiustamento strutturale o programma di austerità? Un po’ come liscia, gassata o Ferrarelle, se volete, ma i termini hanno la loro importanza quando mercati e opinioni pubbliche hanno i nervi a fior di pelle. L’argomento è il solito: la Grecia. Il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha spiegato agli europarlamentari che non ha senso parlare di misure di austerità (economica, fiscale, sociale) in Grecia perché il termine non rende che in minima parte il senso della situazione reale. Bisogna parlare invece di “correzione” necessaria per rimediare un passato all’insegna della “irragionevolezza”. Tanto per dire come stanno le cose, l’opposizione Nuova Democrazia di Antonis Samaras, che ha votato contro il piano Papandreu senza il quale non ci sarebbero né gli aiuti vecchi e né quelli nuovi da Europa e Fmi, è il partito principale responsabile dei trucchi di bilancio in Grecia.
E’ stato invece il direttore generale a interim del Fondo Monetario John Lipsky, che regge le sorti dell’organizzazione in attesa che arrivi Christine Lagarde, a rispolverare il termine ‘programma di aggiustamento strutturale” nel caso della Grecia, affermando che parlare di programma di austerità non è sufficiente perché non si tratta di interventi causati da una crisi passeggera, ma di “aggredire in modo sostanziale i problemi di base dell’economia greca a cominciare dall’assenza di competitività”. Il termine ‘aggiustamento strutturale’ era caduto in disuso dall’inizio degli anni 2000 dopo le difficoltà incontrate dal Fmi in Argentina. Dominique Strauss-Kahn, nel periodo in cui al Fondo si viveva una mezza rivoluzione culturale dopo un paio di decenni di impostazione neoliberista, preferiva riferirsi genericamente al “programma economico”. Sta di fatto che chi oggi parla semplicemente di “austerità” nel caso della Grecia vuole dimenticare qualcosa, si trincera dietro una parola quasi neutra per non evocare toni da ultima spiaggia. Invece, proprio all’ultima spiaggia siamo arrivati.