Tra cinque mesi ci saranno le proposte per nuove regole sulla disciplina di bilancio nell'Eurozona e, in parte, nella Ue. In quel momento i capi di stato e di governo dovranno decidere. La supervisione collettiva sarà ampliata alle politiche economiche che interessano la competitività, chi fa il furbo truccando i conti (come la Grecia) o non rispettando gli impegni di riduzione del deficit e del debito pubblico o accumulando debito privato o favorendo le bolle speculative, sarà sanzionato. Severamente, fino a perdere i finanziamenti europei (cioè rischiandone la sospensione) e forse anche a perdere temporaneamente il diritto di voto nei Consigli Ue. Non solo, le leggi finanziarie nazionali non saranno più un affare di 'cucina interna': nell'ipotesi minima dovranno essere coordinate in modo che possano essere discussi gli eventuali effetti negativi per le economie vicine, nell'ipotesi massima passeranno al timbro europeo prima ancora di essere votate nei parlamenti nazionali. E poi: un meccanismo permanente di gestione delle crisi di paesi che non riescano più a finanziarsi sul mercato. Questo è il programma, l'intenzione confortata anche da un calendario piuttosto preciso: a giugno primo confronto fra i capi di stato e di governo, a ottobre le proposte formali che saranno presentate ai Ventisette nel vertice d'autunno. Cinque mesi sono pochi e contemporaneamente tanti. Pochi se misurato sui tempi biblici delle istituzioni europee e anche per la complessità della materia (giuridica non solo politica). Tanti se si pensa all'urgenza (quella del qui e subito) di convincere i mercati (cioè investitori professionali e risparmiatori di mezzo mondo) che i governi sono in grado di controllare la situazione e riguadagnare la fiducia perduta.
Probabilmente l'operazione riuscirà a rispettare questi tempi: nessun governo, infatti, vuole assumersi la responsabilità di porre un ostacolo magari anche giustificato nel momento sbagliato con il rischio di veder franare tutto quanto e di ritrovarsi con un altro caso Grecia da risolvere. Ormai tutti pensano che se l'unione monetaria ha finora funzionato (fino allo scoppio della crisi finanziaria, cioè 2008-2009), dopo il tracollo della Grecia funzionerà sempre meno se non si ci saranno aggiustamenti sostanziali. E c'è pieno consenso che l'aggiustamento numero uno riguarda la questione politica dell'unione monetaria: realizzare l'unione economica con tutti gli strumenti necessari perchè ciò non resti uno slogan. Il problema è: fino a che punto i governi sono disposti ad andare, sono disposti a cambiare i principi di funzionamento dell'Eurozona perdipiù sotto la pressione degli eventi? E' un fatto che già sono stati smantellati dei veri e propri dogmi: dall'iniezione di soldi pubblici nelle banche e per sostenere l'economia, alla tolleranza sui deficit pubblici a causa della recessione al dogma della clausola 'no bail-out'. Certo, un prestito è cosa diversa da un regalo (per cui il Trattato Ue è salvo), ma il principio della solidarietà ha fatto definitivamente breccia. Poi c'è tutta la parte che riguarda la Bce e le sue reazioni "non convenzionali", la meno convenzionale delle quali è stato l'acquisto nel mercato secondario di titoli pubblici, titoli che vengono amorevolmente comunemente definiti 'spazzatura'. Ma tutto questo non basta, fa parte dell'emergenza.
La questione più importante, risolta la quale si apre la strada per tutto il resto, riguarda la sovranità nazionale sul bilancio. Se si vuole che l'unione monetaria funzioni davvero e sia credibile, gli stati dovranno rinunciare alla loro "piena" sovranità. Su questo non ci sono dubbi a prescindere da come sarà spiegato, abbellito per convincere opinioni pubbliche allergiche a ogni forma di europeismo spinto, partiti neonazionalisti e antieuropeisti doc che sono in grado di sfidare molte coalizioni di governo se non di farle cadere. Per quanto la cancelliera tedesca Merkel si stia sforzando, non sembra essere questo l'obiettivo di fondo della Germania, che resta centrata sulla disciplina dei deficit piuttosto che sulla estensione della sorveglianza all'insieme delle politiche economiche su cui invece insiste la Francia.
In Francia, d'altra parte, il terreno della sovranità si presenta non meno scivoloso che in Germania. "Non è necessario" aumentare le competenze di Bruxelles, è "impensabile" che la Commissione europea interferisca con le decisioni dei parlamenti nazionali in materia di bilancio, ha dichiarato il segretario di stato francese per gli affari europei Pierre Lellouche parlando ai deputati austriaci. Quasi un programma politico. Il lussemburghese Juncker, che è l'unico 'costruttore' del Trattato di Maastricht ancora al potere e guida l'Eurogruppo, sta cercando di far passare tra le righe l'impegno dei ministri a portare a Bruxelles le linee guida delle loro finanziarie prima del voto. Finora non ha raccolto molto calore. Nessuno si è dichiarato contrario, ma è una cosa che non si vuole scrivere nero su bianco da nessuna parte. Il belga Van Rompuy se la cava indicando l'eventualità di affidare a un'Agenzia esterna ai governi il compito di certificare le stime macro-economiche che stanno alla base delle leggi nazionali di bilancio: può essere una soluzione, ma è solo la parte iniziale del discorso. In ogni caso già ci sono le stime della Commissione e della Bce. Il vero salto di qualità sarà compiuto solo quando si smetterà di considerare la ricognizione e la vigilanza di Bruxelles un esercizio di disciplina esterna e si comincerà a considerare la legge nazionale di bilancio un atto di disciplina interna, non del singolo paese ma dell'Eurozona. Dunque un atto che riguarda tutti.