Un protocollo collegato al Trattato di Lisbona riconosce formalmente l’Eurogruppo e il suo presidente. Un protocollo non è il Trattato, ma avendo valore giuridico la svolta è evidente. Al netto delle residue incertezze sulla ratifica del Trattato (per colpa di Praga e Varsavia), da gennaio le condizioni per un ‘decollo’ politico dell’Eurogruppo ci sarebbero tutte se solo i governi volessero. Sapere chi lo guiderà dopo la scadenza del mandato del lussemburghese Juncker nel 2011 non è indifferente, ma l’emersione della candidatura di Giulio Tremonti non cambia almeno adesso i termini della questione. Anche se di fatto condiziona l’agenda politica dell’Ecofin, l’Eurogruppo ha due grandi limiti: il suo presidente resta un mediatore debole, non ha lo spazio per esercitare un ruolo di leadership all’interno; ha un basso profilo nei consessi internazionali. L’Eurogruppo era e resta un organismo di ministri “sovrani” senza poteri definiti, procedure, strutture.
La Commissione europea da tempo preme per un “salto di qualità” ipotizzando un coordinamento sempre più stretto delle politiche economiche “ex ante” (prima che i governi e i parlamenti nazionali prendano delle decisioni), senza molto successo. Nell’ultimo rapporto sull’Eurozona, scrive: sia prima che all’inizio della crisi “il meccanismo di coordinamento nell’area non ha funzionato molto bene”. L’Eurogruppo (come l’Ecofin) ha assistito senza intervenire all’estendersi di forti squilibri strutturali in vari paesi, squilibri che hanno aggravato la recessione. Basti pensare alla crescita finanziata accumulando ampi deficit delle partite correnti in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda mentre altri paesi accumulavano ampi surplus (Germania, Austria, Olanda). O all’iniziale riluttanza tedesca a stimolare l’economia preoccupata di dover pagare un conto di cui avrebbero beneficiato i partner commerciali. O alle emissioni di titoli di stato in concorrenza.
Anche in questo modo è stata messa a repentaglio l’unione monetaria. I ministri dell’Eurozona sono i responsabili politici della stabilità dell’unione monetaria, una missione almeno tanto importante (dopo la crisi finanziaria più importante) del rispetto del mandato elettorale ricevuto a casa propria: se non danno l’esempio loro, chi mai dovrà darlo?
Senza una virata l’Eurozona non sarà neppure in grado di influenzare l’agenda politica globale oggi nelle mani del G20 e non più del G7. Se è vero (come spesso ricorda il ministro Giulio Tremonti) che il pendolo della politica europea si è spostato dal modello comunitario verso il modello intergovernativo (nel senso che la ‘tecnocrazia’ di Bruxelles avrebbe meno spazio e legittimità politica per agire), c’è una buona occasione per dimostrare che i governi sono preparati sul serio a una tale responsabilità. Purtroppo i segnali non stanno andando in questa direzione, basta vedere i contrasti sulla data di avvio delle ‘exit strategy’ (chi dice 2011, chi dice più tardi, chi dice aspettiamo e vediamo), sui contenuti delle politiche di bilancio, sugli aiuti al settore auto (Opel) oppure l’idea francese di consolidare la cooperazione di politica industriale con la Germania per creare “campioni europei senza rivali in Europa e nel mondo”.
Quanto a chi guiderà la ‘baracca’ dopo il lussemburghese Juncker (il mandato scade a fine 2010) è solo tempo di ipotesi per giunta troppo anticipate. Nel 2011 scade Trichet alla guida della Bce ed è davvero inusuale che per due istituzioni di tale portata siano emersi i nomi di due italiani, rispettivamente Tremonti e Draghi. Ovvio che le due cariche non potranno essere ricoperte da due italiani contemporaneamente (solo ai francesi capitano colpi del genere visto che guidano contemporaneamente Bce, Fondo monetario e Organizzazione mondiale del commercio e meno male che se la prendono sempre con la globalizzazione). Nata in Italia (la candidatura Draghi è stata sponsorizzata dal Wall Street Journal), l’ipotesi Tremonti all’Eurogruppo ha avuto una mezza di conferma da parte del ministro degli esteri Frattini. In una intervista al Corriere della Sera che gli chiedeva se il governo puntasse sul ministro dell’economia alla guida dell’Eurogruppo o su Draghi alla Bce, Frattini ha risposto: “Mentre l’Eurogruppo è una cosa che si decide tra governi e quindi il governo italiano può, come Silvio Ber¬lusconi ha fatto, indicare e sostenere, la presidenza della Bce dipende da procedure interne che non sono ancora state indicate e che riguardano il 2011”. All’inizio dell’estate Berlusconi, ormai consapevole che la candidatura di Mario Mauro alla presidenza dell’Europarlamento era naufragata, disse ai giornalisti che oltre al ‘Caprice des Dieux’ (così viene chiamato il parlamento europeo per la sua forma vista dall’alto) “ci sono tante cose interessanti, i portafogli della Commissione, cose di peso, fra un anno e mezzo la presidenza Eurogruppo, posizione molto buona per il nostro ministro Tremonti". Qualche mese prima l’idea era apparsa sul Corriere della Sera.