Anche Sapin, non solo Padoan, soffre le pene del ‘bollino verde’

Che sia davvero complicato per i governi preparare leggi di bilancio espansive al limite delle regole del patto di stabilità ne sanno qualcosa i ministri delle finanze italiane Pier Carlo Padoan e francesi Michel Sapin. Da un lato c’è il contesto europeo: i vertici della Commissione e l’Eurogruppo si accontentano ancora del fatto che la politica di bilancio in termini aggregati p è “leggermente espansiva” nella zona e “neutrale” nella Ue, nonostante la ripresa resti debole e soggetta più a rischi di peggioramento che di miglioramento. Dall’altro lato c’è il difficile test di controllo degli organismi pubblici nazionali creati apposta per fare le pulci a scelte di bilancio dai presupposti incerti, difficilmente realizzabili almeno sulla base dei dati disponibili oggi, sul filo del rispetto della ‘governance’ europea, se non chiaramente al di là. Sia in Italia (sul Def) che in Francia la prova ha dato esito negativo: per ora niente ‘bollino verde’. E’ solo un assaggio di ciò che potrebbe accadere quando comincerà a lavorare nel 2017 il Comitato consultivo indipendente europeo per le finanze pubbliche (Fiscal Board in inglese).

Dei dubbi dell’Ufficio parlamentare di bilancio sull’aggiornamento del documento di economia e finanzia, che definisce la cornice della legge di bilancio 2017, è già stato detto tutto. Non è ancora stata detta però l’ultima parola, dal momento i chiarimenti che Padoan fornirà nella seconda audizioni parlamentare martedì prossimo (il ministro partirà rapidamente da Lussemburgo dove si riunirà l’Ecofin) potrebbero indurre a cambiare valutazioni, sulla base di precisazioni sull’assetto del progetto di “finanziaria”.

Il giudizio dell’Upb è che attualmente non ci sono le condizioni per un esito positivo della validazione del quadro programmatico 2017 e, in particolare, delle stime di crescita del pil per il prossimo anno, sia in termini reali che nominali. Stime, “che appaiono contrassegnate da un eccesso di ottimismo”. La previsione del governo è di una crescita dell’1% nel 2014 (il Fmi stima 0,9%), 0,4% punti percentuali oltre lo scenario tendenziale (a bocce ferme), di 1,3% nel 2018 e di 1,2% nel 2019. Secondo l’Upb “risultano significativamente fuori linea rispetto all’intervallo dei previsori del panel Upb, del quale fanno parte – oltre a Upb – Cer, Prometeia e REFricerche”. Sugli obiettivi di finanza pubblica (deficit/pil al 2% con il prolungamento al 2,4% tenendo conto delle spese per immigrati e terremoto) viene rilevata “l’indeterminatezza cui è soggetto il quadro programmatico per il 2017 e per gli anni successivi”. E’ “molto incerto” l’esito del negoziato con Bruxelles relativo alla classificazione di 7,7 miliardi di spese per immigrati e terremoto (pari appunto a 0,4% dl pil). Per il 2018 e il 2019 l’aumento dell’Iva (evitato nel 2017) resterà nella legislazione e ciò “costituisce un’ipoteca sul disegno della politica di bilancio futura, dando un carattere esplicito di provvisorietà al quadro programmatico”.

Infine, per il 2016 l’aggiustamento strutturale del bilancio rischia di subire una “deviazione non significativa” rispetto a quanto indicato in primavera (non rilevante ai fini delle procedure europee), ma per il 2017 il rischio sarebbe “significativo” a causa di un aggiustamento nullo (contro una richiesta di 0,6%), rischio esistente anche se si prende in considerazione il biennio 2016-2017. Tutto sostanzialmente ok per la regola della spesa, mentre per la regola del debito la distanza tra livello programmatico in rapporto al pil e il target di riferimento sarebbe di 1,8 punti percentuali. Su questo il giudizio è sospeso dal momento Bruxelles dovrà valutare il peso dei fattori rilevanti, a partire dalle condizioni economiche sfavorevoli.

Negli stessi giorni, identico lavoro sul progetto di bilancio francese ha fatto l’organismo indipendente francese che deve dare il ‘bollino’ alla finanziaria 2017: l’Haute Conseil des finances publiques ha giudicato “improbabile” la riduzione del deficit pubblico al 2,7% del pil e anche “incerto” il ritorno sotto il 3%.

Le stime su cui si poggia la ‘finanziaria’ francese, indica l’Haute Conseil, “tendono ad allontanarsi dal principio di prudenza” indicando una crescita del pil dell’1,5% malgrado i pessimi risultati del secondo trimestre (-0,1%) e i “fattori ribassisti che si sono materializzati negli ultimi mesi”, dalle incertezze dovute a Brexit all’atonia del commercio mondiale alle conseguenze degli attentati del terrorismo islamico sul turismo. Il Fmi stima l’1,3%. Inoltre, l’Hcfp ha giudicato “improbabile” la riduzione del deficit pubblico al 2,7% del pil e perfino “incerto” il ritorno sotto il 3%. Tenendo conto delle interpretazioni ultraflessibili di cui ha goduto negli anni la Francia, ciò a Bruxelles viene considerato un bel problema.

La Commissione non abbandona la scelta dell’uso della flessibilità nelle valutazione delle scelte di bilancio nella massima misura possibile. A Washington il responsabile degli affari economici Pierre Moscovici, politicamente e culturalmente incline alla linea più flessibilista possibile, si è riferito espressamente alla necessità di tenere conto delle “spese per la crisi dei rifugiati o un terremoto o per attacchi terroristici”. Le sue parole sono state subito rilanciate in Italia come l’ennesima apertura alle richieste governative. Moscovici ha aggiunto però che “si tratta di flessibilità precise, limitate”, che vanno “chiaramente spiegate”. Ciò significa che la flessibilità nella misura prevista dall’Italia è ancora tutta da verificare. Insomma, è presto per dire come andrà a finire nel dettaglio, anche se non c’è alcuna intenzione di creare ad alcun paese, Italia compresa, maggiori difficoltà economiche (e di gestione politica) di quelle che ha.

La cosa certa è che al ‘bollino verde’ dei ‘board’ indipendenti presta molta attenzione la Commissione europea. Risulta che i timori di Bruxelles sull’Italia coincidano con quelli dell’Ufficio parlamentare di bilancio e con quelli di Bankitalia. E’ un fatto che una discussione esplicita, pubblica può far emergere chiaramente che dubbi e critiche a una strategia indicata da un governo non arrivano solo da Bruxelles.

E’ solo un assaggio di che cosa accadrà quando, nel 2017, si insedierà il comitato consultivo indipendente europeo per le finanze pubbliche, una specie di segretariato diretto da un presidente e quattro membri, la cui selezione e nomina sembra in dirittura d’arrivo. Sul ‘Fiscal Board’ aveva puntato le carte il ministro tedesco Schaeuble nel tentativo di depotenziare il ruolo della Commissione, criticata per l’eccesso di politicizzazione delle decisioni sui bilanci pubblici. Il suo ruolo è strettamente consultivo: il Board dovrà fornire “una valutazione dell’attuazione del quadro di bilancio della Ue, specie per quanto riguarda la coerenza orizzontale delle decisioni e l’attuazione della sorveglianza di bilancio, i casi particolarmente gravi di inosservanza delle norme e l’adeguatezza dell’effettivo orientamento di bilancio a livello nazionale e della zona euro”.

Non solo: il comitato europeo coopererà strettamente con gli organismi indipendenti nazionali (in Italia l’Ufficio parlamentare di bilancio), favorendo quello che la Commissione chiama “visione comune dei problemi di bilancio europei”. C’è da aspettarsi dunque che la rete della sorveglianza preventiva si infittirà creando, forse, le condizioni per un chiarimento più esplicito, pubblico, sugli esatti termini delle diatribe o degli accordi presi a livello europeo sulle politiche di bilancio.

C’è un altro punto da sottolineare: il ‘Fiscal Board’ europeo dovrebbe favorire anche, è scritto nella decisione formale comunitaria di un anno fa, “una discussione più circostanziata all’interno della Commissione sulle implicazioni globali delle politiche di bilancio a livello nazionale e della zona euro al fine di conseguire un orientamento di bilancio adeguato per la zona euro”. Il comitato “dovrebbe svolgere i propri compiti in maniera indipendente ed elaborare pareri in autonomia rispetto a qualsiasi istituzione, organo, ufficio o agenzia nazionale o europea” (quindi anche la Commissione che pure ne finanzia il funzionamento) e ciò apre una possibilità interessante: ci sarà uno spazio in più per aprire un confronto tecnico-politico sull’adeguatezza delle politiche di bilancio nazionali e in termini aggregati in un contesto di bassa crescita e bassa inflazione per un tempo drammaticamente lungo. Pensiamo all’importanza di una discussione approfondita sul ruolo della Germania nel sostegno alla domanda. Certo, il Fiscal Board non dovrà essere visto (e usato) solo come un mero ‘misuratore’ del tasso di rispetto delle regole del patto di stabilità.