Bce, ok Jobs Act però la ripresa dell’occupazione nella zona euro è trainata da Germania e Spagna

La riforma del mercato del lavoro introdotta in Italia nel 2015 ha altresì contribuito “al rinnovato dinamismo dell’occupazione nel paese negli ultimi trimestri”. Lo indica la Bce nel Bollettino economico di settembre nel quale analizza le relazioni fra andamento del pil e occupazione. Nel Bollettino si sottolinea che nell’area dell’euro la ripresa dell’occupazione è stata trainata principalmente da due grandi paesi: Germania (dove l’occupazione non è quasi calata, persino durante la Grande recessione) e Spagna. I due paesi rappresentano nell’insieme circa
due terzi (rispettivamente il 31 e il 25%) dell’aumento cumulato dell’occupazione nell’area dell’euro dal minimo del secondo trimestre
del 2013. Francia e Italia hanno contribuito molto meno: nell’insieme appena il 13% della crescita osservata dal primo trimestre del 2013, “anche se in Italia è stata altresì registrata un’accelerazione negli ultimi quattro trimestri”. Questi andamenti, rileva la Bce, “potrebbero incoraggiare le altre economie dell’area ad attuare ulteriori riforme”.

La Bce segnala che i paesi, come l’Italia, che hanno attuato importanti riforme del mercato del lavoro nel periodo più recente, “i benefici per l’occupazione potrebbero manifestarsi con un lieve ritardo”. In Italia, rilevano gli economisti di Francoforte, “la crescita dell’occupazione è aumentata nel 2015 almeno in parte come conseguenza della riforma” del mercato del lavoro (il Jobs Act, appunto).

Dopo la crisi i governi si sono focalizzati sulle misure per stimolare la crescita dell’occupazione, aumentare la flessibilità del mercato del lavoro e ridurre i dualismi esistenti (sostanzialmente il ‘gap’ tra lavoro precario e lavoro stabile.

Nella zona euro l’aumento dell’occupazione dall’inizio della ripresa nel 2013 è stato superiore alle previsioni. In sostanza, dall’inizio della seconda recessione nella zona euro fino alla ripresa successiva, la relazione tra occupazione e andamento del pil sembra essersi ripristinata. Mentre la zona euro tornava in recessione dal quarto trimestre 2011 l’andamento dell’occupazione ha seguito da vicino il calo del pil. Con la ripresa dal secondo trimestre 2013 anche l’occupazione è tornata “rapidamente” a registrare una crescita positiva, entro un trimestre dal recupero del pil. E da allora è aumentata notevolmente in linea con la dinamica del prodotto. Nonostante una relazione con il pil più forte e ravvicinata, l’occupazione dell’area monetaria resta ancora leggermente inferiore ai livelli pre-crisi: nel primo trimestre 2016 era ancora sotto l’1% ai massimi registrati nel primo trimestre 2008.

Tale analisi permette alla Bce di concludere che “l’evidenza sta a indicare che le riforme recenti hanno contribuito all’aumento dell’occupazione”. Tuttavia, ad appena 12 trimestri dal recupero del pil ell’area dopo la crisi, “è ancora troppo presto per stabilire se la forte espansione recente dell’occupazione rimarrà verosimilmente una caratteristica di lungo periodo dei mercati del lavoro dell’area”.

Parte della forte reazione dell’occupazione riflette, secondo la Bce, la considerevole concentrazione settoriale della ripresa 
nei servizi, specie di mercato in un’area economica in cui quasi quattro quinti dell’espansione totale del prodotto durante la ripresa sono riferibili ai soli servizi di mercato. In termini di occupazione il grado di concentrazione è ancora maggiore: quasi tutti i 3,2 milioni di nuovi posti di lavoro creati dall’inizio della ripresa nell’area riguardano il settore dei servizi e in particolare (oltre il 70%) due soli segmenti del comparto dei servizi di mercato: commercio e trasporti; servizi amministrativi e alle imprese.

Nello stesso tempo nel settore industriale, che ha contribuito per circa un quinto alla ripresa del valore aggiunto nell’area dell’euro dal primo trimestre del 2013, l’occupazione è aumentata in misura solo modesta.

La Bce nota che “la composizione della crescita del pil è importante, perchè i comparti del settore dei servizi sono di norma contraddistinti da un’intensità di crescita dell’occupazione relativamente maggiore”. Si calcola che un aumento dell’1% del pil generato dai servizi di mercato determina una crescita aggregata dell’occupazione maggiore rispetto a un analogo incremento prodotto dall’industria.Il settore delle costruzioni evidenzia ancora tipicamente una maggiore intensità di occupazione, ma durante la ripresa ha concorso in misura marginale all’espansione dell’attività nell’area dell’euro e il suo contributo alla crescita dell’occupazione è rimasto lievemente negativo.

Non va comunque dimenticato l’aumento dei lavoratori a tempo parziale: proprio nel settore dei servizi c’è un maggiore ricorso al lavoro part-time. Non è un caso che d all’inizio della ripresa, un terzo dei nuovi posti di lavoro sia a tempo parziale: ciò fa sì che, date le ore lavorate totali, la crescita dell’occupazione è stata superiore di 6 punti percentuali al livello che avrebbe raggiunto con il tasso di occupazione a tempo parziale del 19 per cento osservato prima della crisi.

Quanto alle differenze fra Eurozona e Stati Uniti, oltre Atlantico l’occupazione ha tuttavia recuperato molto più velocemente, dopo avere registrato una diminuzione maggiore nella Grande recessione. Al termine della Grande recessione del 2008‐2009, l’occupazione statunitense ha impiegato circa 26 trimestri per tornare ai livelli pre‐crisi. Dal minimo del primo trimestre 2010, nel paese sono stati creati 13,7 milioni di nuovi posti di lavoro che hanno portato il totale degli occupati su un livello superiore di quasi 5,2 milioni di unità a quello precedente la crisi. Nell’area dell’euro, otto anni (ben 32 trimestri) dopo l’inizio della crisi economica e finanziaria mondiale nel primo trimestre del 2008, l’occupazione resta tuttora leggermente al al di sotto del suo massimo pre‐crisi nonostante l’aumento di 3,8 milioni di posti
di lavoro dal minimo del secondo trimestre del 2013.

Il ritorno ritardato dell’area ai livelli di occupazione antecedenti la crisi, dice la Bce, “riflette in parte la diversa dinamica del pil rispetto agli Stati Uniti, che non hanno registrato una seconda recessione connessa alla crisi del debito sovrano”.