I 4 ‘paletti’ di Schäuble e la difficile svolta sull’economia

Più passano i giorni e più il quadro politico europeo si complica con effetti che si sentiranno ben presto su importanti scadenze che riguardano l’economia. La prima scadenza è lunedì quando la Commissione presenterà analisi e raccomandazioni sui deficit di bilancio e le decisioni dei governi per rispettare gli impegni. Verranno molti nodi al pettine, innanzitutto per la Francia, ma anche per l’Italia che spera di aver convinto Bruxelles dei motivi (seri) in base ai quali vuole più tempo per raggiungere il pareggio e condizioni più ragionevoli per ridurre il debito pubblico. Ma la Commissione dovrà dimostrare che gli strumenti a disposizione (il patto di stabilità e i vari ‘pack’ e ‘compact’ che si sono susseguiti nel tempo) sono quelli giusti per fronteggiare il lungo passaggio dalla crisi alla ripresa. La seconda scadenza riguarda gli interventi Bce per il rilancio del credito comprese le misure sugli ‘abs’ (obbligazioni garantite da attività) e un taglio dei tassi di interesse attesi fra una settimana: è improbabile che la nuova cura di Draghi possa essere sufficiente se non sarà accompagnata da un rilancio degli investimenti di cui per ora non si vede l’ombra. Prima di diversi mesi non potranno esserci nuove spinte all’economia dalla politica a livello europeo.

  E’ chiaro che il voto ha sanzionato le politiche di austerità condotte in diversi paesi: la coalizione al potere in Grecia ha ottenuto il 31% dei consensi, il risultato di quella irlandese è deludente, in Portogallo ha ottenuto il 28% contro il 50% nel 2011, in Spagna ha perso metà dei consensi in tre anni, in Olanda rappresenta poco più del 20% dell’elettorato. Per non parlare della Francia con il partito del presidente al 13%. Quanto all’Italia, la campagna elettorale di Matteo Renzi è stata all’insegna dell’uscita dalle maglie strette dell’austerità senza rinnegare – anzi – le politiche di controllo e riduzione strutturale della spesa pubblica e di modernizzazione accelerata del paese. Tutto questo va, quasi naturalmente, in direzione di un chiarimento sulle politiche economiche da sostenere a livello europeo. La discussione per ora appare abbastanza confusa: se l’Italia punta l’attenzione sugli spazi di flessibilità delle regole di bilancio per gli investimenti pubblici combinati a impegni più stringenti per le riforme strutturali, la Francia vorrebbe anche forzare sulla concorrenza e sul controllo del movimento dei capitali in relazione all’acquisizione del controllo dei ‘campioni’ industriali nazionali, vorrebbe indurire la posizione europea al tavolo del negoziato commerciale con gli Stati Uniti (sul il parlamento europeo eserciterà un ruolo fondamentale). Molti paesi del ‘fronte del sud’ vogliono un deprezzamento del cambio dell’euro (anche Jean Claude Juncker ne ha parlato in campagna elettorale sia pure in modo indiretto).

  Uno dei paradossi della situazione attuale è che la condizione necessaria per ottenere più spazi di manovra sui bilanci e più solidarietà europea (in termini di aiuti finanziari nell’emergenza, di sostegno alle riforme in tempi normali, in prospettiva di emissione di debito comune per singoli importanti progetti se non di parti di nuovo debito pubblico nazionale) è stringere ancora di più le corde della sovranità al livello dell’Eurozona. Dalle urne, però, è emersa l’indicazione contraria a cedere nuovi pezzi di sovranità al ‘centro’.

  I margini per agire risultano così ridotti. Si aggiunga il fatto, noto a tutti, che quanto più si chiede alla Bce un intervento più attivo a sostegno dell’economia tanto più la Bce ha bisogno di un quadro di finanza pubblica chiaro, prevedibile, senza tentennamenti nel rispetto delle regole (fiscal compact compreso).  

  Finora la cancelliera tedesca Angela Merkel non ha preso posizione su questi temi, limitandosi a un accenno alle necessità di agire a sostegno della crescita (e chi è contrario?) dando per scontata la linea di sempre: rimettete in ordine i conti pubblici rispettando il ‘fiscal compact’ e le condizioni per andare a posto di saranno. D’altra parte è apparso evidente nella riunione dei capi di Stato e di Governo come la preoccupazione politica principale di Merkel sia adesso il rischio che la Gran Bretagna imbocchi il cammino per uscire dall’Unione europea nel 2017 in seguito a un referendum, eventualità che darebbe uno scossone micidiale anche all’Eurozona. Tale rischio si riflette pienamente nel difficile negoziato sulle nomine ai vertici delle istituzioni europee a cominciare dalla Commissione e sulla definizione delle priorità politiche della nuova legislatura: si tratta di capire fino a che punto può essere sostenuto Cameron nella sua corsa al rimpatrio di competenze da Bruxelles senza smontare irrimediabilmente la costruzione comunitaria e senza diventare tutti ostaggi di Londra.

 L’economia, però, non può aspettare. Delle scelte di ‘policy’  e di ‘governance’ dell’Eurozona vanno fatte e in fretta. In questo senso spingerà Renzi con la presidenza italiana della Ue da luglio, ma si sa che lo spazio della presidenza di turno non è poi molto se i ‘pezzi da novanta’ della Ue frenano. Tuttavia non va dato per scontato che nulla si muoverà. In  un discorso alla Hertie School of Governance di Berlino a urne appena chiuse il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaeuble ha fornito una serie di indicazioni che potrebbero costituire i ‘paletti’ della risposta tedesca alle forti pressioni per schiodarla dalla sua rigidità e al voto europeo. Premesso il no secco ad aprire il dossier ‘deprezzamento dell’euro’ e a rimettere in discussione il ‘fiscal compact’, il ministro tedesco afferma che l’Eurogruppo può essere reso più efficace modificando il protocollo 14 del Trattato Ue che ne fissa i compiti senza entrare nel merito dei suoi compiti e responsabilità. Ciò non richiederebbe una modifica del Trattato o richiederebbe solo “cambiamenti limitati” (parlare di modifica del Trattato con lo spauracchio di bocciatura a qualche referendum nei paesi sotto forte ondata euroscettica ed eurofobica sarebbe un suicidio politico programmato). Schaeuble non dice quali devono essere i poteri dell’Eurogruppo e soprattutto del suo presidente (altra nomina da fare): se si sceglierà un presidente a tempo pieno il salto verso una maggiore integrazione dell’Eurozona sarà evidente, ma non c’è molto “appetito” per una soluzione del genere.

 Seconda indicazione una Commissione europea più efficace: pochi vicepresidenti (oggi sono 8 compresa la ‘ministra’ degli esteri Catherine Ashton) responsabili di aree combinate affidate agli altri commissari. In prospettiva, elezione diretta del presidente della Commissione. Terza indicazione un ‘parlamento dell’Eurozona’ (da qualche tempo si discute della possibilità di riunire i deputati eletti nel Parlamento Ue dai paesi dell’unione monetaria): obiettivo, coinvolgere il Parlamento nelle decisioni in modo strutturato aumentandone la legittimità dell’unione monetaria.

  La quarta indicazione è di importanza fondamentale per i nuovi spazi di manovra nella gestione della finanza pubblica e dell’economia: “Penso sarebbe possibile per noi usare il bilancio europeo come uno strumento per definire le priorità nei singoli Stati membri – dice Schaeuble -. Potremo sostenere le raccomandazioni Ue per i paesi attraverso un uso mirato e condizionale delle risorse, così potremmo fronteggiare i problemi nei singoli paesi e sostenere le riforme strutturali”. E’ una spinta a riprendere in mano la discussione sugli ‘accordi contrattuali’ poi rubricati come ‘partnership per la competitività’. In tale contesto il ministro tedesco immagina un commissario europeo ai bilanci “in grado di respingere i bilanci nazionali se non rispettano le regole che abbiamo concordato insieme”. Il responsabile degli affari economici, in sostanza, avrebbe lo stesso potere cha ha oggi il commissario alla concorrenza. Sono queste le condizioni di Schaeuble per forzare la stessa Germania a compiere un passo politico-giuridico decisivo: quando si tratta di decisioni prese a livello Ue “è la Corte di Giustizia europea responsabile in ultima istanza per risolvere le controversie, non le corti nazionali”. Stop dunque alla condizione di lasciare l’Eurozona, la Ue o la Bce ostaggi della Corte di Karlsruhe.