LETTERA DA BRUXELLES Altalena sul debito sovrano, un passo avanti e due indietro

Un passo avanti e due indietro. La gestione della crisi del debito sovrano alla periferia dell'Eurozona non riesce a uscire da questa ciclo di incertezza. Solo pochi giorni fa, la sera del 6 aprile, il Portogallo si era risolto a chiedere aiuto. Poi c'è stata la riunione informale dei ministri finanziari alle porte di Budapest, nella residenza estiva della principessa Sissi, ed era stata l'occasione per dare il là al negoziato tecnico per mettere a punto un nuovo programma di riforme strutturali che giustifichi il prestito da circa 80 miliardi di euro. I mercati si erano un po' calmati, ma è durato poco. Di nuovo le tensioni si sono riaccese quando Moody's (oggi) ha tagliato di due gradini la valutazione dell'Irlanda a Baa3, il livello più basso per i debitori affidabili. Motivo: il peggioramento delle prospettive economiche. Dall'Irlanda alla Grecia, con il giudizio sospeso anche da parte del governo tedesco, non solo dei mercati, sulla capacità o meno del paese di essere solvibile. Le parole del ministro Wolfgang Schauble sono state interpretate nell'unico modo possibile: al momento non è esclusa una ristrutturazione del debito. Allusioni di fuoco che hanno fatto correre tutti ai ripari, Bce in primo luogo. Morale: i tassi sulle obbligazioni greche e portoghesi hanno toccato nuovi record e si sono ingrossate le file di chi ritiene in aumento il rischio di una ristrutturazione del debito sovrano in alcuni paesi, segnatamente Grecia, Portogallo e Irlanda. Vero o eccessivo, infondato che sia tale rischio, il dilemma ci accompagnerà ancora a lungo.



  L'accavallarsi degli eventi non deve far perdere di vista una fatto fondamentale: giusto un anno fa, il 23 aprile con l'intervento televisivo del premier Georges Papandreu dalla meravigliosa isola di Kastellorizo, la Grecia chiedeva l'aiuto europeo e del Fondo monetario per evitare la bancarotta. E proprio oggi lui stesso ha annunciato un nuovo, ulteriore, percorso di uscita dalla crisi prevedendo tagli al bilancio per ridurre la spesa pubblica al 44% del pil contro il 53% nel 1009 e di aumentare le entrate al 43% del pil contro il 38% nel 2009. L’ennesimo giro di vite ha un obiettivo: togliere dal tavolo l’idea che la Grecia con una mano agisce per ridurre l’indebitamento, con l’altra prepara la ristrutturazione del debito pubblico. A che punto del tragitto è dopo un anno la Grecia: a un terzo, a metà, a due terzi? Nessuno ha la risposta. La stessa incertezza riguarda Irlanda e Portogallo, che ha appena chiesto aiuto ma è di fatto è informalmente commissariato da oltre un anno. Il fatto che si chieda l’aiuto esterno, nel giro di tre-quattro settimane arrivino i finanziamenti significa moltissimo, ma è solo l’inizio di un cammino molto lungo. E un anno di fleboclisi finanziaria (dalle misure Bce per la liquidità al prestito europeo) non ha certo dissipato i dubbi sulla solvibilità della Grecia.
  Ciò che mercati e agenzie di rating tengono sotto tiro in questa fase è la crescita reale, la tenuta sociale dei tre paesi sotto tiro. Non a caso, la ‘troika’ Commissione Ue-Bce-Fmi che verifica il rispetto delle condizioni alla base dei prestiti, indica con soddisfazione che il governo irlandese tra le priorità ha messo il sostegno all’occupazione e concorda su un fatto molto importante: i nuovi elementi del ‘pacchetto’ irlandese (dalla revisione del modo in cui vengono determinati i salari alle misure per aumentare la concorrenza in diversi settori professionali come avvocati, servizi medici e farmacisti ed eliminare le restrizioni al commercio) devono essere “neutrali” per il bilancio. Non devono cioè rappresentare un costo ulteriore per la popolazione. Le famiglie subiscono già un peso enorme del consolidamento del bilancio pubblico, dall’aumento dell’Iva dal 21 al 22% (dal 2014 al 23%) al taglio di quasi 25mila posti nel pubblico impiego ala riduzione del 10% degli stipendi per i nuovo assunti dallo stato all’aumento delle tasse universitarie. A ciò si aggiungano la riduzione delle pensioni pubbliche del 4% in media e la tassa fondiaria di cento euro all’anno per famiglia. La riduzione del costo del prestito chiesta da Dublino, già concessa alla Grecia, tiene conto proprio della necessità di non strangolare il debitore, ma su questo i negoziati non hanno fatto alcun passo avanti perché Dublino non vuole cedere sul principio della difesa integrale delle aliquote basse sulle imprese.
  La stessa attenzione viene riservata agli effetti sociali delle misure di consolidamento in Grecia e Portogallo: anche in questi paesi la regola è il taglio delle retribuzioni nel pubblico impiego, il congelamento o la riduzione delle prestazioni pensionistiche, l’aumento dell’Iva, il rialzo delle imposte sul reddito. Con una novità in più: la fase di tassi di interesse Bce in aumento aggrava il contesto dato che oltre il 70% dei mutui casa degli irlandesi è a tasso variabile e sono a tasso variabile quasi tutti i mutui in Portogallo (l’85% in Spagna).